WOLVERINE: LOGAN – recensione

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Testata del sito fumettomanai del 2010-11

Anteprima Fumettomania n. 19

copertina del cartonato WOLVERINE: LOGAN

WOLVERINE: LOGAN
testi: Brian K. Vaughan;
disegni: Eduardo Risso;
colori: Dean White

cartonato, 80 pagg. –
Panini Comics, collana Marvel Graphic Novels
€12,00

di Antonio Recupero

Quando un supereroe viene portato sul grande schermo, inizia il delirio! Ristampe, nuovi albi, inediti ripescati, gadget e amenità varie sono destinati ad invadere gli scaffali delle fumetterie. E l’appassionato vero inizia a non poterne più…

Poi ogni tanto, tra la tanta fuffa annunciata sui cataloghi, vedi un paio di nomi più importanti, degli autori di cui ti fidi, non certo gli ultimi arrivati. E ti decidi, tra tutta la roba, a prendere proprio il loro volume.

E purtroppo a volte te ne penti.

L’uscita del film sull’artigliato mutante canadese nelle sale italiane, ha prodotto i fenomeni di ubermerchandise di cui sopra. Tutto quello che vale la pena leggere su Wolverine (e anche qualcosa che non vale la pena) e che è stato prodotto dai primi anni ’80 in poi, è stato ristampato e riproposto in lussuose (e, spesso, costose) edizioni. E ormai si viene tentati di ignorare la maggior parte di quei libri, un po’ perché si hanno già le precedenti edizioni, un po’ perché il film su Wolverine è stato, diciamolo senza falsi pudori, una cocente delusione.

Poi vedi due nomi su un volume: Brian K. Vaughan, il pluri premiato autore di Ex machina e Runaways, l’uomo che è stato pure chiamato a “mettere le pezze” alla quarta stagione del serial televisivo Lost. E Eduardo Risso, il disegnatore sudamericano che ci ha deliziato con 100 Bullets e Io sono un vampiro.

E ti decidi a comprare questo volume, che si presenta anche con una bella veste tipografica. E dopo averlo letto vai controllare i nomi degli autori in copertina per capire se all’inizio avevi letto male.

La storia si attesta su livelli di sufficienza: Logan (che, puntualizziamo, nei fumetti non è alto e bello come Hugh Jackman, ma basso, peloso e puzzolente di sigaro) è di ritorno in Giappone, sua patria adottiva, dove si è riappropriato del proprio senso dell’onore e dove ha imparato a tenere sotto controllo i suoi istinti più bestiali e violenti. Qui si ritrova ad indagare su un misterioso fantasma che sembra legato ad eventi accaduti circa 60 anni prima, durante la seconda guerra mondiale, periodo in cui Logan era fuggito, insieme ad un soldato americano con problemi mentali, da un campo di prigionia nipponico. La storia si svolge con sequenze alternate tra il presente e lo scenario del conflitto mondiale, e dopo l’incontro con una misteriosa e affascinante contadina, si muove secondo il prevedibile meccanismo “lui, lei e l’altro”, ovviamente condito con superpoteri, lotte all’ultimo sangue, katana e artigli sguainati. Il fatto che la storia si riveli ambientata ad Hiroshima la riveste di un interesse aggiunto superficiale, ma si rivela meramente funzionale alla storia, e viene dimenticato dopo pochi minuti dalla lettura.

Il finale viene anticipato già a tavola 4, e manca un po’ troppo di razionalità per il lettore esperto, e non c’è ironia nella storia per giustificare queste forzature.

I dialoghi in alcuni casi sembrano buttati lì di fretta, banali, e lo stesso Risso ha un tratto che annulla la sua evoluzione stilistica degli ultimi anni, apparendo di nuovo debitore dello stile del suo ispiratore Mike “Hellboy” Mignola, pur mantenendo una solidità encomiabile nell’impostazione della tavola.

Punto di encomio va invece al colorista Dean White, che con la sua arte pittorica dà al volume un’impronta squisitamente retrò, che ricorda alcuni capolavori del fumetto europeo apparsi tra gli anni ’70 e ’80.

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