SUPERMAN: RED SON
cartonato, col., 19×27, 160 pagg.
testi: Mark Millar;
disegni: Andrew Robinson, Dave Johnson, Kilian Plunkett
editore: Planeta DeAgostini Comics
di Antonio Recupero
E’ un uccello! No, è un aereo! No, è il compagno Superman! La DC Comics ha da decenni una consolidata tradizione di storie scritte dai migliori autori delle proprie scuderie che hanno il compito, spesso non facile, di presentare versioni alternative dei propri supereroi. Queste storie sono note con il nome di “Elseworlds” e contano nei propri archivi dei piccoli capolavori.
Il presupposto di questo volume, che in Italia viene presentato dalla Planeta De Agostini in una edizione lussuosa e ben curata (non solo nella veste tipografica, ma anche dal punto di vista redazionale italiano, cosa che purtroppo raramente si era verificata in precedenza), è a dir poco stuzzicante per il lettore maturo: cosa sarebbe successo se la capsula spaziale che trasportava un neonato Superman fosse caduta nella Russia di Stalin invece che nei dorati campi di grano del Kansas? Cosa sarebbe successo se il bambino destinato a diventare uno degli esseri più potenti dell’universo fosse stato allevato secondo i principi marxisti-leninisti e nell’ideale del comunismo come sistema politico economico perfetto?
Mark Millar non è certo un autore che si accontenta di poco: dopo aver trasformato il supergruppo AUTHORITY della DC-Wildstorm in una temibile cellula terroristica anarchica superumana, dopo aver politicizzato le risse tra superuomini con CIVIL WAR per La Marvel, ci regala una riscrittura ucronica dell’icona supereroistica per eccellenza, e sfuggendo a banalità ed infauste previsioni. Va precisato che in America questa miniserie vide la luce nel 2003, ma solo adesso i lettori italiani possono godere di una edizione locale realizzata con tutti i crismi. Non ci si trova di fronte ad una apologia dei sistemi politico-economici della vecchia Madre Russia, né ad una difesa spassionata del sistema capitalistico americano contro i regimi socialisti.
Equilibrio e sfumature: queste sono le due parole chiave dell’opera di Millar, divisa sostanzialmente in due macrocapitoli (a dispetto dei 3 albi originari). Il primo è ambientato sotto il regime di Joseph Stalin (anche lui, non a caso, noto come “uomo di acciaio”), di cui Superman è il “delfino”, unico vero candidato alla guida del partito e dell’Unione Sovietica nonostante (e qui la verità storica si intreccia con la fiction) sia uno dei pochissimi alti funzionari della macchina organizzativa russa a non essere figlio illegittimo del dittatore; il secondo capitolo, ambientato dopo la morte di Stalin, vede Superman stesso diventare dittatore illuminato e convinto della bontà dell’egualitarismo socialista, che grazie ai suoi poteri non è così utopistico come è apparso nella nostra storia. Lo Stato onnipotente e onnipresente, ma anche protettivo e giusto nei confronti del proprio popolo, si iconizza nell’ampio torace dell’uomo di acciaio, che non vede più sul suo petto la S sinuosa, iniziale del suo nome, ma la falce e il martello incrociati, simbolo della sua patria adottiva. E riuscirà a portare questi simboli in tutto il mondo, creando quella che ritiene essere il paradiso socialista in terra. Ma un paradiso in cui non si può esprimere il proprio dissenso è solo una gabbia abbastanza piacevole, e sarà questo il punto debole della struttura creata dal super-dittatore. L’utilizzo dei personaggi di contorno è sapiente, e non cede alla tentazione di dar troppo spazio a personaggi non utili ai fini della narrazione. Se quasi invariata ne esce la figura di Wonder Woman, che viene vista come compagna naturale dell’uomo perfetto, anche se senza lieti fini, interessanti sono le versioni alternative di Lex Luthor (genio freddo e calcolatore, ma non malvagio, che vede in Superman una sfida, nonché una minaccia alla sua immagine di uomo più intelligente del mondo), di Batman (figlio di dissidenti uccisi dal regime stalinista, e diventato un pericoloso terrorista anarchico), di Lanterna Verde (che il governo USA cerca di trasformare in un vero e proprio supersoldato americano prodotto in serie), di Jimmy Olsen (non più timido fotografo, ma cinico agente federale americano), di Brainiac (unico essere che riesce a plagiare la volontà di Superman con l’inganno portato dagli eccessi di autostima dell’eroe).
L’affresco generale è affascinante, completo, variopinto. Il finale è apparentemente lento, ma in realtà demolisce con sapienza tutto quello che il lettore del libro ha dato per scontato: sono visibili omaggi alla letteratura di fantascienza degli anni ’50 e ’60, citazioni dai primissimi albi che hanno visto apparire il Superman “tradizionale”, e una riscrittura di alcuni elementi del personaggio assolutamente inaspettata, coraggiosa, e riuscita. La qualità dei disegni è buona, ma non sempre ottimale. L’alternarsi dei 3 disegnatori tra le tavole del volume a volte è piuttosto fastidioso, viste anche le differenze nell’impostazione dei layout e la scelta delle inquadrature e del montaggio delle vignette. Un volume interessante, coraggioso, per troppo tempo rimasto inedito nel nostro paese, e che probabilmente non mancherà di suscitare opinioni contrastanti.