SPECIALE “LE DONNE NEL FUMETTO”
– QUARANTUNESIMA PUNTATA –
Oggi pubblichiamo la prima parte dell’intervista al “baronetto” del fumetto inglese, Bryan Talbot (che quest’anno festeggia i suoi cinquanta anni dal suo debuto nel mondo del fumetto) e a sua moglie la pluripremiata Mary Margaret Talbot!
L’intervista a Mary&Bryan è così lunga ed articolata che l’abbiamo divisa in due parti; ed è proprio la seconda parte che è in fase di completamento, e che sarà pubblicata a giugno in concomitanza di …. lo scopriremo presto …
Ancora Auguri a Bryan per il suo 67° compleanno, lo scorso 24 febbraio, e a Mary che invece ha festeggiato il suo compleanno l’1 marzo.
Buona lettura
Mario Benenati, direttore culturale del web magazine Fumettomania
INTRO
Conosciamo Bryan dal lontano 1991 quando in una piovosa serata lucchese (durante il Salone Internazionale del Fumetto), venne con noi in auto dal Palazzetto dello Sport, dove si svolgeva la manfestazione, fino all’albergo. Nel corso degli anni abbiamo chiacchierato in molte occasioni, l’ultima nel 2004. Da qui il titolo Quindici anni (2004-2019) insieme all’arte di Mary e Bryan Talbot
Nella sua biografia leggiamo
<< Born: 24 February 1952, Wigan, Lancashire
Educated: Wigan Grammar School, Wigan School of Art, Harris College, Preston, Lancs – Diploma in Graphic Design
First published illustrations appeared in Mallorn, the British Tolkien Society Magazine in 1969. In 1971 he drew the cover to the first issue of Dark Horizons, the magazine of the British Fantasy Society. >>
Bryan Talbot ha debuttato, dunque, con una illustrazione pubblicata nel 1969 e poi nel 1971 con la copertina del primo numero di Dark Horizons una rivista della British Fantasy Society.
Noi di Fumettomania vogliamo festeggiarlo pubblicando questa lunga intervista (nella versione in italiano ed a seguire quella in inglese), iniziata qualche anno fa e che stiamo completando con delle domande alle sue opere recenti, tra cui quella in uscita nel prossimo autunno. L’intervista ad un certo punto raddoppia con le domande rivolte a sua moglie Mary M. Talbot, scrittrice delle ultime, ed affermate, opere dell’artista britannico.
Mario Benenati
INTERVISTA A MARY E BRYAN TALBOT – PRIMA PARTE
a cura di Mario Benenati, Cesare Giombetti (che ha curato anche le traduzioni), Alberto Conte
In questa intervista Vorrei ripercorrere gli anni recenti della produzione fumettistica di Bryan e quella recentissima insieme Mary.
Vent’anni fa circa, dopo la pubblicazione del bellissimo e pluripremiato graphic novel “La storia del topo cattivo” , ti sei dedicato alla saga finale di Luther Arkwright : “Heart of Empire” (che in Italia fu pubblicata dall’editore Comma 22 in due tomi, rispettivamente nel 2004 e nel 2007).
Riprendiamo la nostra chiaccherata proprio da quegli anni.
La prima saga di Luther Arkwright (che risale al decennio 1978-1988), che era disegnata in bianco e nero, fece molto scalpore per le tematiche politiche trattate; la sua conclusione (divisa in 2 nuovi volumi), invece l’hai sviluppata in un contesto politico inglese differente dalla prima, rimanendo sempre una storia di fantascienza sugli universi paralleli e con un intreccio politico, ed è a colori.
Leggendo e rileggendo quest’opera ho potuto osservare che il tuo stile è meno spigoloso, più caricaturale, con molte scene crude e sanguinolenti e l’uso dei colori mette in risalto i personaggi, la loro recitazione, e gli avvenimenti narrati
Nel corso della tua carriera hai affrontato tanti temi, hai realizzato storie in bianco e nero e hai cambiato il tuo stile grafico (da un approccio “realistico” a quello “quasi cartoon” di Grandville. È un modello naturale di evoluzione per il tuo lavoro o una costante ricerca di nuovi modi espressivi?
Bryan Talbot: Ho sempre provato a cambiare lo stile delle illustrazioni nelle mie vignette al fine di renderle adatte alla storia. Diversi tipi di storie richiedono di essere raccontate con lo stile più appropriato.
Quanto ti ha impegnato riprendere in mano il personaggio di Luther Arkwright e narrare le circa 300 pagine di “Heart of Empire”, così articolate e dense di eventi? Hai messo la parola fine all’epopea di Arkwright?
Bryan Talbot: Penso di aver impiegato circa tre anni.
Dopo “Heart of Empire” sempre come autore unico, hai pubblicato: Alice in Sunderland (nel 2007), BRAINSTORM! (nel 2008), Grandville (nel 2009) Grandville Mon Amour (nov 2010), Grandville Bête Noire (Dec 2012), Grandville Nöel (nov. 2014) and Grandville Force Majeur (nov. 2017).
L’ultima tua chiacchierata con noi risale proprio al 2005 quando stavi invece lavorando sulla graphic novel “Alice in Sunderland” che venne poi pubblicata nel 2007 in Italia.
In quest’opera, che considero (e non solo io) un capolavoro della narrativa a fumetti, hai utilizzato tanti stili mischiandoli ed ottenendo degli effetti fantastici, ed hai scelto di realizzare una sorta di “collage” artistico, per raccontare una storia che va letta a strati, a vari livella di conoscenza. Nel volume sei riuscito a ri-narrare con la tua sensibilità il racconto di Lewis Carroll, inserendolo in un contesto moderno; la storia in ultimo è una lunga ricerca storica e mentale legata a Sunderland ed al suo passato.
Dopo questo grande sforzo creativo, come sei arrivato a concepire un fumetto come Grandville, è stato quasi quasi più facile?
Bryan Talbot: Alice in Sunderland è un buon esempio per ciò che dicevo prima a proposito dello stile più adatto. Il libro tratta proprio di storie e stili narrativi, con anche una rappresentazione teatrale che si svolge in un “Palazzo del Varietà” edoardiano come dispositivo che fa da cornice al tutto. Ho voluto quindi che il libro fosse uno spettacolo di varietà. Diverse storie sono raccontate nel libro e quindi ciascuna col suo stile – per esempio la storia di fantasmi “The Cauld Lad of Hylton” è raccontata alla maniera dei fumetti horror della EC, mentre Il verme di Lambton è disegnato in stile Art Dèco, e ancora la sequenza di Jabberwocky è nello stile dell’artista originario di Alice, John Tenniel, e così via.
Grandville è stato per me più un thriller giallo lineare e divertente e dunque ho utilizzato uno stile europeo ligne claire. Comunque impiego anche in questo caso diversi giorni per una pagina finita
La caratterizzazione “Steampunk”, ha fatto parte spesso del tuo modus narrativo: nella miniserie Teknophage (della Tekno Comics), in parte inedita in Italia e in Luther Arkwright, ma con Grandville trova il suo apice grazie anche ad un cambiamento nello stile grafico e nella scansione narrativa.
Il primo volume di Grandville, infatti, è una storia poliziesca, quasi una spystory, ambientata in un’epoca ed in un universo ben preciso: l’epoca vittoriana, che ha come riferimento grafico Jean-Ignace-Isidore Gérard (illustratore francese del XIX secolo), dal momento che sia il protagonista sia tutto l’universo narrativo sono esseri antropomorfi.
La storia ha un ritmo serrato, con tanti colpi di scena, le prime sette pagine sono fenomenali! E’ fantastico che tu riesci in poche tavole a delineare il protagonista, l’ispettore Lebrock.
Come possiamo vedere in Teknophage, Arkwright e Grandville, dunque, ami la caratterizzazione steampunk; qual’è per te il significato dell’età vittoriana e come è avvenuta la genesi di Grandville e del suo personaggio principale, l‘ispettore Lebrock, per il quale hai guardato i riferimenti grafici di Jean Ignace Isidore Gérard?
Ero un ragazzo alla fine degli anni ’60 in Gran Bretagna, quando l’era vittoriana andava di moda. Ero inoltre interessato a Sherlock Holmes da quando leggevo i racconti a tredici anni e poi, appassionato di horror, lessi i classici come Frankenstein e Dracula e adoravo i film della Hammer, molti dei quali erano ambientati nel diciannovesimo secolo, e presto quel periodo divenne di moda. Film come I seicento di Balaklava e La cassa sbagliata venivano trasmessi in quel periodo. Le uniformi militari vittoriane divennero moda popolare e venivano indossate dai Beatles, da Jimi Hendrix e Mick Jagger, e molto design psichedelico si richiamava alle decorazioni vittoriane. Canzoni come “I was Lord Kitchener’s Valet” (con riferimento a una boutique di Portobello Road) e “The Equestrian Statue” erano nelle classifiche. Ero molto preso da un telefilm, Adam Adamant, su un avventuriero vittoriano, congelato da un avversario e riesumato negli anni ’60 nella swinging London – una sorta di precursore di Austin Powers – e c’era anche un tocco di quel genere in Doctori Who, che guardai dal primo episodio.
Di norma le mie graphic novel sono un prodotto di anni di riflessione, passati a ricercare aspetti e caratteristiche mentre lavoro ad altri progetti. Il primo volume di Grandville fu esattamente l’opposto. Mi venne l’idea mentre ancora lavoravo ad Alice. Stavo sfogliando il mio libro di Jean Gérard – che disegnava con lo pseudonimo di JJ Grandville — quando mi giunse l’idea che “Grandville” potesse essere un nome per una Parigi di una realtà alternativa dominata dalla Francia, e nella quale Parigi era la città più grande al mondo. J.J. Grandville realizzò molte illustrazioni antropomorfe di animali in abiti contemporanei, spesso in situazioni satiriche. Gérard visse nella prima metà del diciannovesimo secolo, ma decisi comunque di ambientare la storia in una variante degli anni ’90 dell’Ottocento – “La Belle Epoque” e renderla senza alcun pudore steampunk. Quell’epoca mi fece poi pensare a Sherlock Holmes e divenne dunque un giallo. Questo accadde nei primi cinque minuti di ispirazione. La storia poi mi sembrò giungere già formata nella mia testa nei giorni successivi. Dopo una settimana ho scribacchiato una struttura abbozzata e trascritto il testo, direttamente. Fu incredibile. Era come scrivere sotto dettatura. Mi prese solo qualche giorno. Gli altri libri di Grandville, benché furono comunque divertenti da scrivere e inventare, mi presero molto più tempo. Era passato ben più di un anno da quando avevo iniziato il lavoro e in quel periodo iniziai a raccogliere libri sulla Parigi antica e a ripulire il testo mentre disegnavo la storia.
Vorrei ora, invece, soffermarmi sulla tua esperienza in coppia con tua moglie Mary Margaret nel libro “Dotter Of Her Father’s Eyes” pubblicato in Usa, in UK a febbraio del 2012 ed in altri paesi europei qualche anno dopo, ma non ancora in Italia. Dopo aver ammirato in anteprima le tavole sull’ipad di Bryan ho letto il volume, del quale trovate un ricco work in progress in questo sito,nell’edizione inglese.
Domanda per entrambi (per Bryan, per Mary): Al di là del vostro legame affettivo come è stato lavorare con lei/lui? Vi siete confrontati sulla storia, sulla sceneggiatura oppure tu, Mary, ha scritto tutto il libro e poi Bryan ha iniziato a disegnarlo?
Mary Talbot: Abbiamo chiacchierato sulla storia per un bel po’ mentre ci lavoravo su e dunque Bryan poteva commentare e suggerire sin dall’inizio. E, certo, fu una sua ispirazione iniziale a far partire il progetto, prima di tutto. Avevo comunque scritto una bozza di tutto il progetto prima che potesse dargli uno sguardo. Fu quando iniziò a disegnare le pagine che la collaborazione iniziò.
Bryan Talbot: : Sì, fu una collaborazione che proseguì da quel punto in poi. Mary suggerì dei miglioramenti nella parte disegnata e io le fornii vari stimoli per il testo definitivo, consigliando magari delle variazioni chiarificatrici.
Domanda per Mary T. : sul tuo sito ho letto che hai scritto dei libri sul linguaggio, sul potere del linguaggio, da dove è scaturita l’idea per questa graphic novel e hai dovuto cambiare metodo di lavoro per portarla a compimento?
Mary Talbot: Quando Bryan mi suggerì di provare a scrivere una graphic novel, mi suonò come un interessante nuovo modo di esplorare i miei interessi. Ho scritto per anni per lavori accademici, fortemente legati a ciò che insegnavo (problemi relativi a linguaggio e gender, media e potere, più che altro). In qualche modo, Dotter è la continuazione di ciò. Le politiche sul genere sono di certo una preoccupazione chiave che vi possiamo trovare; da qui si muove la descrizione attraverso la narrativa di cose quali le opportunità di cambiamento avute dalle donne nel ventesimo secolo. Un linguaggio specifico e problemi relativi al potere emergono ripetutamente. A un certo punto, per esempio, sottolineo che “Ho avuto il capitale linguistico e culturale sbagliato per poter giocare per la strada” e che sono esistita in una “zona crepuscolare“, quando fui rimproverata per aver usato un linguaggio da strada a casa. Nella parte di libro che si occupa della figlia di James Joyce, Lucia, menziono un duro rimprovero da parte di un amico di famiglia a Parigi per il fatto che lei fosse “illetterata in quattro lingue”. Ti immagini? Le sue due prime lingue erano italiano e inglese, poi studiò Basso e Alto tedesco, e infine si trasferirono a Parigi. Non mi stupisce che faticasse a scrivere correttamente.
Domanda per entrambi: Quando avete iniziato questa graphic novel, vi siete fissati un termine oppure avete lavorato nella più assoluta libertà?
Bryan Talbot: Era un progetto già completo. Mary aveva già scritto il soggetto quando ho iniziato a disegnare.
Partecipa all’intervista, da Genova anche un nostro amico e collaboratore Alberto Conte.
Alberto Conte: Hai sicuramente sentito parlare del prequel di Watchmen, del ritiro di Diane Schultz e della decisione di fermare Hellblazer come titolo e di rinnovarlo nei classici supereroi DC Universe: sembra la fine di Vertigo, un modo di guardare i fumetti non esattamente mainstream. Il disordine politico ed economico è prevalso sulla “Arte sequenziale” o è solo una fase ciclica per te?
Bryan Talbot: Le vendite dei fumetti di supereroi sono in declino da molti anni. Penso sia semplicemente un risultato di ciò. Guardando il lato positivo, fumetti rivolti a un pubblico più ampio sono invece in crescita.
Facciamo un salto nel 2016 …
Cesare Giombetti, è stato traduttore e curatore editoriale per Planeta DeAgostini, Green Comm Services, Daniele Tomasi Editore, e lavora in Inghilterra dal 2014. Dallo stesso anno partecipa al Festival dei Laghi e lì ha la possibilità di incontrare per la prima volta Mary e Bryan Talbot.
Cesare , con lo zampino di Mario, ha posto 2016-17 qualche nuova domanda scaturita dalla lettura delle recenti opere di Bryan, Grandville Bête Noire (Dec 2012), Grandville Nöel (nov. 2014) e Sally Heathcote: Suffragette (in edizione inglese), tutti inediti in Italia Suffragette (pubblicato nel 2014) in particolare è, dal mio punto di vista, un nuovo capolavoro di letteratura e fumetti dell’eclettico autore inglese, al pari di “La storia del topo cattivo”, “Alice in Sunderland” e “Dotter Of Her Father’s Eyes”.
Questo graphic novel è una ricostruzione storica molta dettagliata e molto politica, che si dipana in una serie di tavole molto rigide (e classiche), 7-9 vignette per pagina, interrotte ogni tanto da pagine intere. La scrittura di Mary mi sembra asciutta, diretta, a tratti (vedi la sequenza di Sally in prigione, pagg. 82-95), anche cruda; mentre i disegni sono anche loro classici, ricchi di dettagli, nei costumi e nelle architetture.
Cesare Giombetti: E’ questo il nuovo percorso artistico della coppia Mary&Bryan, storie molto realistiche, di carattere storico-biografico, dal taglio classico e dettagliato?
Bryan Talbot: Questo è stato il taglio necessario per le due opere create insieme a Mary. Non avrebbe avuto senso un tratto sperimentale. D’altro canto lo stesso è accaduto con The tale of the Bad Rat, nel quale il segno lineare era fondamentale per rendere la storia perfettamente comprensibile, all’opposto di quanto accade per le opere con diverso intento, come Luther Arkwright, dove la struttura è quella di un puzzle o di un indovinello. Non mi sentirei di dire, però, che si possa parlare di percorso, ma di opere diverse fra loro che richiedono cifre stilistiche differenti.
Ho trovato di grande impatto, il dialogo di pag. 112-113, tra Ms Pankhurst (insieme ad una delegazione del movimento delle Suffragette) edil Primo Ministro ed il Chancellor of the Exchequer. Il passaggio grafico dalle figure umane a quelle animali (topi e gatti), legato al “Cat and Mouse Act”, tutto giocato sui neri, insieme alla pagina successiva (pag. 113), nella sua drammaticità, è molto bello e simbolico.
Così come la sequenza di eventi da pag. 122 a pag. 126, che è meravigliosa con quelle vignette in notturna in una gabbia color nero, che sottolineano la cupezza e la drammaticità. Queste ultime pagine graficamente mi ricordano Will Eisner ed il suo fumetto SPIRIT ma anche alcuni autori franco-belga.
Domanda di Mario: Mary e Bryan potete spiegare meglio ai lettori italiani, lontani dalla realtà inglese dei primi del ‘900, queste due sequenze narrative?
Mary Talbot: Avevo bisogno di una scena che avesse un forte impatto e che creasse un contrasto. Si parlava di diritti umani e ho rappresentato degli animali. Il riferimento è chiaramente al Prisoners Act, noto anche come Cat and Mouse Act, nato per contrastare gli scioperi della fame delle suffragette.
Bryan Talbot: : Le pagg. da 122 a 126 sono scure perché è un notturno, ma anche per creare un effetto di suspense, tant’è che la pagina successiva è invece chiara, con effetto di contrasto dato dall’esplosione. Anche da pag. 85 a 95 c’è un uso ragionato del nero: in quel caso le vignette sono circondate da neri che producono un effetto sbarre, per trasferire al lettore il senso della prigionia.
Il romanzo termina con un dolce-amaro, Sally, ormai ottantenne ricorda i momenti di felicità con Arthur, il suo primo amore, che sposa e che muore durante la prima guerra mondiale lo scoppio della grande guerra, gli ultimi scontri ed eventi del movimento Suffragette, ed il dialogo, nelle ultime due pagine, con la figlia e la nipote che le festeggiano gli ottanta anni.
Il libro si chiude con un timeline, con un ricco apparato redazionale (annotazioni) in cui Mary descrive e dettaglia circa alcuni eventi disegnati nelle varie pagine del romanzo a fumetti, ed infine con bibliografia di supporto.
Mario e Cesare: Nella terza parte della graphic novel gli eventi diventano incalzanti, alternati dalla storia d’amore nascente tra Sally e Arthur, ma anche dai violenti scontri verbali tra i due; oltre le parole scritte, i balloons, sono gli acquerelli , o colori, di Bryan e Kate, che scandiscono il tempo ed i “cambi di scena”;
Abbiamo avvertito un cambiamento nella lettura del romanzo nella terza parte, è quasi diventato un film (intendo come ritmo narrativo e disegnato), è veramente così?
Mary Talbot: Nella terza parte ho sentito la necessità di un maggior ritmo e di una maggiore presenza dei sentimenti, al fine di rendere l’opera più realistica e creare maggiore identificazione. D’altro canto, l’obiettivo della scelta del medium fumetto è quello di far arrivare questi temi a un pubblico più ampio di quello che già li conosca, e anche per questo lo stile deve essere lineare e di facile comprensione.
In conclusione, come lettore, Vi faccio i miei complimenti, perchè mi avete tenuto avvinghiato al libro, fino a quando non l’ho finito.
Ovviamente alcuni passaggi non li ho compresi del tutto, in quanto legati alla società inglese e alla politica dei primi del novecento. Ma credo che un fumetto, oltre che essere letto per i testi e i disegni, debba anche ampliare gli orizzonti ed incuriosire e voi, ancora una volta, avete permesso a me e ai vostri lettori questa magia.
Ora attendiamo la pubblicazione italiana!
L’intervista con le domande relative Grandville Bête Noire (Dec 2012), Grandville Nöel (nov. 2014) and Grandville Force Majeur (nov. 2017) ed altre graphic novel realizzate insieme a Mary, continua a fine 2019 … con l’aiuto di Cesare Giombetti .
BIOGRAFIA/BIOGRAPHY
Per leggere l’intera biografia di Bryan Talbot cliccare QUI
Per sapere tutto su Mary Talbot cliccare QUI
FIFTEEN YEARS TOGETHER WITH THE ART OF MARY AND BRYAN TALBOT!
Interview with Bryan and Mary Talbot – Part One
edited by Mario Benenati, Cesare Giombetti (who also edited the translations), Alberto Conte
Introduction
Hi Bryan, hi Mary, I’d like to remember the last years of your comics’ production (some years are passed from the interview into 1996), with some questions.
The first saga of Arkwright (1978-1998) made a great stir for the social and political themes. “The Tale of One Bad Rat”, your wonderful and multi-awarded graphic novel, was published in 1996: its main and tragic theme was the child abuse. That gave the start to many discussions, showing for another time that comics are not “only for children” or only for fun.
The final saga of Luther Arkwright, “Heart of Empire” (published in Italy by Telemaco in two volumes in 2004 and 2007).
Mario Benenati: You came across with different themes, realised b/w and coloured stories and changed your graphic style (from a “realistic” approach to a “near-cartoon” one, as in Grandville. Is it a natural pattern of evolution for your work or a constant search of new expressive ways?
Bryan Talbot:I’ve always tried to change the style of illustration in my strips to suit the story being told. Different sorts of stories need to be told in a style that is appropriate to them.D
M.B.: How much energy you spent to take up again Luther Arkwright and write the hundreds of pages of “Heart of Empire”, so composite and full of events? It’s really over the Arkwright’s epopea?
B. T.: I think it took about three years to draw.
After “Heart of Empire”, as a single author, you have published: Alice in Sunderland (nel 2007) – BRAINSTORM! (nel 2008), Grandville (nel 2009) Grandville Mon Amour (nov 2010), Grandville Bête Noire (Dec 2012), Grandville Nöel (nov. 2014) and Grandville Force Majeur (nov. 2017).
Our latest chat is dated 2005: in that year you’re working on “Alice in Sunderland”, published in Italy on 2007. It is a graphic novel very complex, even for the unusual mix of styles, a sort of artistic collage to tell a multi-level story: not a simple rereading of Lewis Carroll’s masterpiece, but a long mental and historical research tied up to Sunderland and its past.
M.B.: After this big creative effort, how you came to a comic as Grandville, that seems nearly easy?
B. T.: Alice in Sunderland is a good example of what I was saying earlier about using appropriate styles. The book is all about stories and storytelling and, with a theatrical performance in an Edwardian “Palace of Varieties” as a framing device, I wanted the book to be a variety performance. So all the different stories told in the book are drawn in their own style – for example, the ghost story of “The Cauld Lad of Hylton” is told in the manner of an EC horror comic, The Legend of the Lambton Worm is drawn in an Arts and Crafts style, the Jabberwocky sequence is in the style of the original Alice artist, John Tenniel, and so on. Grandville was, for me, more of a straightforward, fun, detective-thriller, which is in a European clear-line style. It still takes me several days to complete a finished page.
M.B.: : As we can see in Teknophage, Arkwright and Grandville you love the steampunk characterization, but what is the meaning for you of the Victorian Age and which was the genesis of Grandville and its main character, Inspector Lebrock, for which you look at Jean Ignace Isidore Gérard?
B. T.: I was a teenager in the late sixties in Britain, when the Victorian era was cool. I was already into Sherlock Holmes since reading all the short stories when I was thirteen and, having been into horror, I’d read the classics such as Frankenstein and Dracula and loved the Hammer movies, many if which were set in the 19th century but, suddenly, in the late sixties, this period was in vogue. Movies such as The Charge of the Light Brigade and The Wrong Box were playing. Victorian military uniforms were street fashion and were worn by The Beatles, Jimi Hendrix, and Mick Jagger, and much psychedelic design at the time referenced Victorian decoration. Songs like “I was Lord Kitchener’s Valet” (named after a boutique in Portobello Road) and “The Equestrian Statue” were in the charts. I was very taken with the TV series Adam Adamant, about a Victorian adventurer, frozen by an adversary and revived in swinging sixties London—a sort of forerunner of Austin Powers—and there was always a touch of the genre in Doctor Who, which I’ve watched since the first episode.
Usually all my graphic novels are the product of years of consideration, thinking about them and researching aspects as I work on other projects. The first Grandville was the total opposite. I had the idea while still working on Alice. I was looking through my book of Jean Gérard – who drew under the psuedonym JJ Grandville —when the idea struck me that “Grandville” could be the nickname for Paris in an alternative reality dominated by France, where Paris was the largest city in the world. J.J. Grandville did many anthropomorphic illustrations of animals in contemporary dress, often in satirical situations. Gérard lived in the first half of the nineteenth century but I decided to set the story in a variation of the eighteen nineties—”La Belle Epoch”—and make it unashamedly steampunk. The time period made me think of Sherlock Holmes and I decided to make it a detective story. This is all within the first five minutes of getting the original inspiration. The story then seemed to come to me fully formed in the back of my mind over the next few days. After a week I scribbled a rough structure and typed up the script, straight out. It was amazing. It was like taking dictation. It only took a few days. The other Grandville books, while still being fun to invent and write, have taken a lot longer. It was well over a year before I started work on the artwork and, in that time, I started picking up books on old Paris and polished the script all the time I was drawing it
M.B.: I have recently read “Mon Amour”and for me the storyline is getting even better. Do you have planned the full story arc or you’re following the inspiration of the moment?
B.T.:There’s a loose story arc that becomes tighter as the stories progress, culminating in the fifth book. The third, Grandville Bête Noire, has recently been published in the UK and USA and I’m currently drawing the fourth, Grandville Nöel.
Now I would like to analyse your experience as creative duo with your wife, realising “Dotter of Her Father’s Eyes” (2012), unfortunately still not published in Italy: we will show into the new special of web magazine Fumettomania a rich work in progress.
Question for both of you, Bryan and Mary: beyond your relationship, how it was working together? Mary wrote the story and the scenario and Bryan drew the pages, or you talked over everything joining together different ideas and points of view?
Mary Talbot: We chatted about the story a good deal while I was working on it, so Bryan was making comments and suggestions from the start. And, of course, it was his initial suggestion that triggered the project in the first place. I’d written a complete draft of the script, however, before he looked at it at all. It was when he started to draw the pages that the main collaboration started.
Bryan: Yes, it was a continual collaboration that was ongoing from that point on. Mary suggested artwork improvements and I had a lot of input into the finished script, suggesting changes to clarify
Another question for Mary: I read on your site you wrote some books about the language and its power. Are these the source of inspiration for this graphic novel and did you change your method of work in order to realise it?
Mary Talbot:When Bryan suggested I try my hand at writing a graphic novel script, it sounded like an interesting new way to explore my interests. I’ve had academic work in print for years, closely linked to what I used to teach (issues around gender and language, media and power, mostly). In a way, Dotter is a continuation of that. Gender politics is certainly a key concern in it; hence the portrayal through narrative of things like women’s changing opportunities in the twentieth century. Specific language and power issues come up repeatedly in it too. At one point, for example, I remark that ‘I had the wrong cultural and linguistic capital for the playground’ and that I existed in the ‘Twilight Zone’, when I was scolded for using playground language at home. In the strand of the book that deals with James Joyce’s daughter, Lucia, I mention a rude remark by a family friend in Paris about her being ‘illiterate in four languages’. Can you imagine? Her first two languages were Italian and English, then she went into High and Low German at school, then they moved to Paris. No wonder she struggled with spelling!
Question for both of you: When you started this graphic novel did you arrange a deadline to the project or was it a completely free work in progress?
B.T.: It was a finite project. Mary had written all the script before I started drawing it.
Also the friend and our collaborator Alberto Conte takes part in the interview
Question of Alberto Conte: You have surely heard something about the prequel of Watchmen, the retirement of Diane Schultz and the decision to stop Hellblazer as a title and revamp it into the classic super-heroes DC Universe: it seems the end of Vertigo, a way to look comics not exactly mainstream. The political and economics dire straits prevailed onto the “sequential Art” or it’s just a cyclic phase for you?
B.T.: Sales of monthly superhero comics have been declining for many years. I think it’s just a result of that. On the positive side, sales of graphic novels, to a wider audience, have beed steadily growing in Britain and America.
Let’s jump in 2016 …
Cesare Giombetti, who collaborates with Fumettomania since 2013, translator and editor at Planeta DeAgostini, Green Comm Services, Daniele Tomasi Editore, visited the second edition of The Lake Festival and met Mary and Bryan Talbot; what follows is the report of their meeting, with the remote contribution of Mario B., who made the questions, sprung after the reading of the two last Bryan’s works, Grandville 3 and Sally Heathcote: Suffragette, both unpublished in Italy; in particular, Suffragette (pubblished in 2014) is, in my opinion, a new masterwork of literature in comics of the eclectic English author, like “The tale of one bad rat”, “Alice in Sunderland” e “Dotter Of Her Father’s Eyes”.
As I had written on Fb, this graphic novel is a very detailed and politic historical re-creation, unwound in classic and straight plates with 7-9 frames per page, occasionally interrupted by splash pages. Mary’s writing style looks sober, focused and sometimes (like in sequence where Sally is in prison, pages 82-95) explicit; art is classic as well, but rich in details of costumes and buildings.
Cesare Giombetti: Is this the the new artistic path of the couple Mary&Brian, made by very realistic, historical and biographical stories, with a classical and detailed style?
B. T: This style has been essential for the works created with Mary. An experimental way should not be logical for this kind of stories. On the other hand, the same happened with The tale of the bad rat, where a straight style was essential in order to make the story perfectly understandable, unlike what happened with stories with opposite aims. Luther Arkwright, for example, has the structure of a jigsaw puzzle or of a riddle. In any case, I cannot say this is a path, we are simply talking about different works that require different styles.
I consider that the dialogue at pages 112-113, between Ms Pankhurst (with a delegation of Suffragettes) and the Prime Minister and the Chancellor of the Exchequer produces a strong effect. The idea of morphing human shapes into animal figures, linked to the “Cat and Mouse Act”, based on contrasts between black and white, and thus what happens in the following page (p. 113), is very considerable and symbolic, thanks to its intense drama.
In the same way, we can find an astounding series of events from p. 122 to p. 126 with frames in a sort of cage obtained by black borders, that highlight drama and gloominess. Those last pages recall, from my point of view, Will Eisner style (especially in The Spirit) and a few French-Belgian authors.
Mario&Cesare: Mary and Bryan, could you explain better to Italian readers those two narrative sequence?
Mary Talbot: I needed a scene could create a very strong impact and a big contrast. The argument was human rights and I showed animals. The reference is obviously to the Prisoners Act, known also as Cat and Mouse Act, created in order to avoid hunger strikes practised by Suffragettes.
B.T.: Pages from 122 to 126 are dark because there is a nocturnal setting, but because of a need of suspense effect as well. The following page in fact is bright, with a contrast effect due to the blast. From page 85 to 95 we can find a reasoned use of black: in that case frames are surrounded by the black colour in order to produce a prison bars effect and communicate to the reader a sense of incarceration.
The novel ends with a bittersweet tasting circumstance in which Sally, octogenarian, remembers moments of happiness with her first love and future husband Arthur, who died during the World War I, and recalls the last clashes and events of the Suffragette movement. In the last two pages, eventually, there is a dialogue between grandmother, daughter and granddaughter in occasion of her eightieth birthday party.
The graphic novel is followed by a timeline and a rich section with annotations by which Mary describes the events told by images in the graphic novel, and also by a bibliography.
mario&cesare: In the third part of the graphic novel the events get insistent, mixed with the love story between Sally and Arthur, and with aggressive quarrels. Everything in this chapter is highlighted by watercolours and Bryan and Kate styles, that mark the timing and the changes of scene. I noticed a change of rhythm in this third part, like in a movie. Is this what really happened?
Mary Talbot: In the third part I needed a faster pace and more sentiments, in order to make the work more realistic and obtain more identification between characters and readers. In other hand, the aim of the choice of the medium “comic” was the spread of the message and reaching a wider public. For this reason the style must have straight and understandable.
Finally, as a reader, I congratulate you because you kept me clutched at the book until the end.
Obviously I did not get every passage, because of the link to English culture and politics of the beginning of the 20th century. I think that a comic book has to be appreciated for its words and its art, but I believe that it must broaden the reader’s outlook and arouse his curiosity and I am sure that you made it once more.
The interview with the questions related to Grandville Bête Noire (Dec 2012), Grandville Nöel (Nov. 2014) and Grandville Force Majeur (Nov. 2017) and other graphic novels made together with Mary: Red Virgin (2016), continues in november 2019 …
SEZIONE ATTUALITA’ DELLO SPECIALE “DONNE NEL FUMETTO”
seconda PUNTATA – http://fumettomaniafactory.net/2017/03/23/alda-teodorani-dallo-speciale-donne-nei-fumetti/
quarta PUNTATA – http://fumettomaniafactory.net/2017/04/06/sulla-soglia-romanzi-fumetti-vanna-vinci/ Paragrafo
settima PUNTATA – http://fumettomaniafactory.net/2017/05/30/ex-nuove-autrici-del-fumetto-italiano-parte-prima/
sesta PUNTATA – http://fumettomaniafactory.net/2017/04/22/speciale-donne-nel-fumetto-battle-angel-alita-recensione/
ventisettesima PUNTATA – https://fumettomaniafactory.net/2018/06/11/il-caso-di-julia-di-fabrizio-scibilia-speciale-le-donne-nel-fumetto/
ventottesima PUNTATA – https://fumettomaniafactory.net/2018/06/23/eva-kant-di-carlo-scaringi-speciale-le-donne-nel-fumetto/
ventinovesima PUNTATA – https://fumettomaniafactory.net/2018/07/10/intervista-a-julie-maggi-speciale-donne-nel-fumetto/
trentesima PUNTATA – https://fumettomaniafactory.net/2018/07/19/intervista-a-christian-urgese-speciale-le-donne-nel-fumetto/
trentunesima PUNTATA – https://fumettomaniafactory.net/2018/08/02/10-buone-ragioni-per-non-fare-lartista-di-julie-maggi/
trentaduesima PUNTATA – https://fumettomaniafactory.net/2018/08/10/intervista-a-gio-mo-di-giuseppe-nieddu/
trentatreesima PUNTATA – https://www.fumettomaniafactory.net/2018/09/14/la-questione-femminile-nelle-opere-a-fumetti-di-mary-m-talbot/
Trentaquattreesima puntata – https://www.fumettomaniafactory.net/2019/02/18/spogliamoci-23-fumettiste-parlano-del-disegnare-i-propri-corpi/
[…] QUINDICI ANNI INSIEME ALL’ARTE DI MARY E BRYAN TALBOT! DOTTER OF HER FATHER’S EYES by MARY&BRYAN TALBOT – SPECIALE “LE DONNE NEL FUMETTO” “DOTTER OF HER FATHER’S EYES”, di Mary and Bryan Talbot, HA VINTO IL COSTA BOOK AWARD 2012 […]
[…] QUINDICI ANNI INSIEME ALL’ARTE DI MARY E BRYAN TALBOT! DOTTER OF HER FATHER’S EYES by MARY&BRYAN TALBOT – SPECIALE “LE DONNE NEL FUMETTO” “DOTTER OF HER FATHER’S EYES”, di Mary and Bryan Talbot, HA VINTO IL COSTA BOOK AWARD 2012 […]