Anche questo articolo è stato pubblicato sul gruppo di Facebook “I fumetti sono una cosa seria“, il 21 settembre 2014 e sul loro blog (http://fumettiseri.blogfree.net) e poi è stato messo a disposizione del sottoscritto affinché lo pubblicasse su questo blog, al suo ritorno dalla Polonia.
Si ringrazia Monica Menichini e Roberto P. Manzoni.
Mario B.
Dal numero zero distribuito in cartaceo nei GameStop e nelle Fnac di tutta Italia e scaricabile in formato digitale su Multiplayer.it, al tam tam del popolo della rete, passando per le conferenze promozionali delle fiere del settore, Orfani è il fumetto che in Italia ha visto l’operazione commerciale più clamorosa di sempre. Una campagna pubblicitaria che è andata ben oltre il periodo di lancio del prodotto. Quella della miniserie di Roberto Recchioni è una promozione costante, un martellamento mediatico che viene alimentato continuamente con fattori non sempre ascrivibili al mondo del fumetto.
L’impressione di molti dei lettori Bonelliani, affezionati allo stile narrativo più classico, dopo l’uscita del primo numero è stata piuttosto freddina, ha serpeggiato una certa perplessità per il ruolo assunto dalla sceneggiatura e sono pochi quelli tra loro che hanno completato la collezione della prima stagione.
Questa impressione risulta in aperto contrasto con l’entusiasmo delle nuove generazioni, il racconto per immagini, rappresentato al meglio da un team di disegnatori e coloristi sapientemente assortito, raggiunge lo scopo di catturare il pubblico dei nuovi lettori.
E fino a qui si tratta di uno dei tanti casi di contrapposizione generazionale, un pretesto per far affiorare quel conflitto latente che è sempre esistito e che si fa più marcato in quest’epoca di i-phone e di tweet.
Il fumetto fantascientifico interamente a colori, nasce con l’ambizioso proposito di adottare un linguaggio nuovo, fruibile non solo dai lettori di sempre, ma anche, e soprattutto, dal pubblico che col fumetto ha meno familiarità che con i videogiochi e con le grandi produzioni cinematografiche. Un genere di transizione, volto a catturare l’attenzione senza pretendere di conservarla a lungo, un albo che si beve, con pochi dialoghi ai quali si accompagna l’immediatezza dell’azione.
Se è vero che Orfani è un fumetto discreto e rivolto a un grande pubblico, quale è allora la rivoluzione?
La rivoluzione c’è, è innegabile. Prima dell’avvento di questa testata in Bonelli si parlava poco, al di fuori dell’ambiente fumettistico, degli artisti che contribuivano alla creazione dei suoi fumetti, anche quando si trattava di lavori d’eccellenza. Con Orfani sembra che non si possa parlare del prodotto senza necessariamente incappare nella figura di Roberto Recchioni.
Di pochi giorni fa il linciaggio mediatico di uno youtuber sul profilo fb dell’autore ad opera dei suoi fans.
In Italia la polemica fa pubblico in tempo di social network, ne fa molto di più del parlare seriamente di fumetti. Chi meglio gestisce il mezzo ha maggior notorietà di chi si fa strada con il solo talento.
Chi accetta lo scontro, chi lo cerca, chi lo alimenta e fa parlare di sé… fa parlare della sua creatura. Un modo di fare tutto italiano, troppo italiano, come direbbe Stanis La Rochelle, perché da altre parti chi fa polemica sta fuori dalle grandi case editrici, non ne è la colonna portante.
Un cambiamento sensibile che ha portato l’avvento della miniserie in Bonelli è l’utilizzo del WEB in maniera massiccia e parecchio televisiva, le polemiche infinite utilizzate in modo sapiente e mai evitate.
Il fumetto ha voluto far parlare di sé, poco importa se in bene o in male; ha voluto lo scontro, sempre… e questo funziona, come dimostrano i talk show, le trasmissioni calcistiche e la nostra politica. Dove c’è scontro c’è pubblico.
Laddove da altre parti una critica negativa verrebbe prudentemente evitata, in casa nostra diviene un ‘sapiente’ messaggio pubblicitario utilizzato sempre più spesso per far parlare di sé, per alimentare il conflitto, gli insulti da noi funzionano meglio di una critica positiva e intelligente.
La polemica viene utilizzata strumentalmente, ne sono la prova i gruppi di facebook o i forum dei più grossi siti sui fumetti, dove estimatori e denigratori si scontrano come ultras da tastiera.
Non è edificante, non ci facciamo una bella figura, però è così che funziona nel nostro Paese e vien da pensare che non sia casuale che, in questo clima di barbarica involuzione a carattere tecnologico, alla storica sobrietà Bonelliana si sia sostituita una forma comunicativa così plateale.
Tutti fanno parte dello show che è il “mondo virtuale” di internet, un mondo che ormai si sovrappone alla realtà facendoci apparire come i personaggi di un romanzo di Philip K. Dick.
Le nuove frontiere della pubblicità del fumetto made in Italy sono queste. Ci stiamo adattando, ne facciamo parte… piaccia o meno si è imbroccata la strada più battuta, non abbiamo lasciato spazio ad altre vie. In quest’ottica Orfani è un prodotto vincente, che rappresenta una rivoluzione per la Bonelli, non quella che ci si aspettava, forse, una rivoluzione che sembra premiare con un effettivo riscontro in termini commerciali.
Ci troviamo alla vigilia della tanto annunciata “rinascita” di Dylan Dog (la pubblicazione di questo articolo è avvenuta il 21 settembre, nda) ed è legittimo domandarsi se assisteremo ad un altro talk show mediatico che di fumetto, inteso come arte, ha davvero poco.