Entriamo nel vivo della Tesi di laurea di Cesare Giombetti, ed ecco che questo lungo capitolo secondo che, per essere meglio apprezzato durante la lettura, viene diviso 3 parti.
Cesare ci guida in questo secondo capitolo, della Dialettica della Diversità nei Fumetti di Supereroi Statunitensi fino ai primi Anni del XXI Secolo, approfondendo il Supereroe Marvel.
Buona Lettura
Mario Benenati
Curatore del web magazine Fumettomania
IMMAGINE
Tesi di Laurea:
Dialettica della Diversità nei Fumetti di Supereroi Statunitensi fino ai primi Anni del XXI Secolo
Capitolo 2: Supereroe Marvel
di Cesare Giombetti
PARTE PRIMA
a) Supereroi con superproblemi
Rientrano in questa categoria, ma, come abbiamo visto precedentemente, solo in parte, i Fantastic Four. Abbiamo già accennato al giovane Spider-Man, con problemi di varia natura, dal racimolare lo stipendio per sé e per la zia che lo ospita, alle frustrazioni di giovane studente profittevole, ma timido, alla contraddizione interna al suo impiego e alla sua identità: il direttore del giornale, infatti, presso il quale Peter Parker (meglio noto come Spider-Man) lavora, è uno degli acerrimi nemici dell’eroe mascherato.
È necessario specificare che Spider-Man, anche a causa della cattiva pubblicità del suo principale, si può definire un eroe parzialmente emarginato. Il pubblico è diviso nel giudizio nei confronti di questo eroe solitario, notturno, e che sceglie un’identità pubblica da uomo-insetto. Riportiamo uno stralcio che esprime bene la divisione nel giudizio del pubblico e la conseguente reazione da parte dell’eroe. Spider-Man ha appena sconfitto i criminali di turno che cercavano di rapinare una banca, salvando una giovane coppia.
“LEI: Uomo Ragno! Hai salvato le nostre paghe… e forse le nostre vite! Come potremo mai ringraziarti–?
LUI: Attenta, Martha! Stai indietro! Come possiamo essere sicuri che non sia malvagio come quegli altri? Il Daily Bugle dice che è una minaccia! Non… ti … avvicinare!
SPIDER-MAN: Puoi smettere di tremare, tigrotto… non mordo! Cavolo! Mi feriscono di più i folli editoriali di Jameson che tutti i criminali della città messi assieme! Qualunque cosa faccia, metà della popolazione ha una paura matta di me! …e l’altra metà… probabilmente mi crede un pazzo matricolato! Bah, a chi importa di cosa pensa la gente? Questo è il guaio… a me! Tutti vanno matti per gli FQ (Fantastic Four, N. d. R.)… pensano che Devil sia il migliore… Capitan America li entusiasma… ma basta nominare l’Uomo Ragno… e scende il gelo! (pensa) Non capirò mai come è successo! Non rubo caramelle ai bambini o lego lattine alle code dei cani! È tutta colpa di Jameson! Ha convinto il pubblico che, al mio confronto, Gengis Khan era un santo!” (Lee, Modena, 2006, pp. 69-70).
Persino il più “allineato” dal punto di vista dell’etica e della politica condivise col pubblico, ovvero Steve Rogers, l’identità segreta di Captain America, il super-soldato della Seconda Guerra Mondiale, nato per sconfiggere il nazismo, nella vita privata, vive le problematiche dell’uomo comune.
La vita civile è importante, per questi eroi, quanto quella super, non come per Superman, che vive una vita falsa, secondaria rispetto all’altra, da vivere come fosse una recitazione, senza coinvolgimenti, se questi vanno ad interferire con quella da eroe. Infine, quello che potrebbe essere il supereroe Marvel più slegato dal reale e meno umano, ovvero la divinità nordica (di un pantheon rivisitato per l’occasione) Thor, vive una vita umana, peraltro complicata dalla condizione di claudicante. La caratteristica comune di questi eroi è che, in veste «borghese», vivono una serie di problemi che vengono cancellati temporaneamente con la trasformazione in supereroe. Questa fu la prima rivoluzione Marvel, che riscosse un successo di pubblico notevole.
Dobbiamo precisare, a questo punto, che non affronteremo il percorso in senso strettamente cronologico, ma dialettico. Ciò che andiamo ad affrontare, dunque, di paragrafo in paragrafo, non supera sterilmente, ma arricchisce il concetto immediatamente precedente: nasce dopo, ma l’idea precedente continua a vivere.
Questa tensione permette, inoltre, di sottolineare la relatività imposta da subito dalla Marvel, poiché erano frequenti (e sarà un tormentone fino ai giorni odierni) gli scontri, spesso fisici, di vedute fra supereroi. È necessaria, dunque, qualche puntualizzazione cronologica per meglio capire l’evoluzione dialettica. The Fantastic Four è del Novembre 1961, Hulk e Spider Man, entrambi, del 1962, anche se la testata del cosiddetto Golia Verde chiuderà dopo soli sei numeri per poi risorgere con maggior successo. The X-Men è del 1963 e Devil del 1964. Questo breve specchietto dimostra che vi fu una compenetrazione fra le tematiche conquistate, oltre che degli alti e bassi, dagli inizi, nell’accettazione, da parte del pubblico, di una singola tematica.
b) Supereroi «diversi», ma non emarginati
In questa categoria possiamo, invece, incasellare tutti quei supereroi portatori di una diversità sociale accettata, anche se in maniera problematica, dall’opinione pubblica. L’eroe che possiamo senza dubbio assurgere ad emblema di questa condizione, è l’avvocato non vedente Matt Murdock, alias Daredevil, the Man without Fear. Qualche parola merita di essere spesa per questo eroe, che fu un gran balzo in avanti per la Marvel: si passò a trattare una menomazione senza che questa fosse una sorta di finzione, come nel caso di Thor e, inoltre, si inventò il supereroe che i suoi problemi li porta con sé anche dopo la trasformazione e che, dunque, non se ne libera. Certo, Devil può supplire facilmente al suo svantaggio, capovolgendolo in vantaggio, perché, il giorno in cui ha perso la vista a causa di un isotopo radioattivo che lo ha colpito sugli occhi, ha guadagnato un’acutizzazione di tutti gli altri sensi (può riconoscere l’identità o la posizione di una persona, o se la stessa sta per impugnare una pistola, dal battito del cuore). Resta, però, pur sempre un non vedente e ciò gli comporta una serie di privazioni, soprattutto nella vita personale, ma non solo. Il trucco narrativo di cui si è già parlato a proposito di Superman, persiste. Matt Murdock è un avvocato e lotta, senza mai dubitare, per la legalità. Il pubblico lo sa e, così, l’opinione pubblica rappresentata, lo considera un eroe assolutamente positivo.
In realtà, una forma di autoemarginazione potenziale è presente in quest’eroe notturno e solitario, che lo porterà ad essere protagonista, nei primi anni ’90, di una delle saghe più cruente, tragiche e distruttive della figura del supereroe: la saga dell’assassinio di Elektra, che analizzeremo in dettaglio nei paragrafi successivi. Questa maledizione in nuce, che sfocerà vent’anni dopo la sua creazione, non scalfirà mai, comunque, la positività del suo operato, intaccherà, invece, solo la sua interiorità e la dialettica sarà, quindi, solo soggettiva.
Tutt’altro accadrà, con una dialettica, invece, fra soggetto ed oggetto, con i supereroi emarginati di cui ci occuperemo di seguito. Un altro eroe “diverso”, ma accettato dal pubblico sarà Black Panther. Il nome già rivela l’origine africana di questo eroe e l’esplicita attenzione nei confronti dell’emancipazione degli afro-americani da parte della Marvel. Il principe T’Challa della nazione immaginaria africana Wakanda, ha, anch’egli, scelto un percorso allineato, avendo studiato nelle migliori scuole europee ed americane ed avendo accettato di far parte del gruppo governativo di supereroi, ovvero degli Avengers (analizzeremo più oltre la distinzione tra supergruppi governativi e non governativi). Comparve per la prima volta nel 1966 sul numero 52 della serie Fantastic Four e fu, quindi, il primo supereroe africano o afro-americano. Seguiranno Falcon, nel 1969, anch’egli Avenger, e, dunque, non emarginato.
Interessante è il caso di Luke Cage, che nel 1972 espliciterà ulteriormente la tematica, essendo originario di Harlem. Cage non sarà un emarginato vero e proprio, ma non sceglierà di combattere il crimine per ideale, quanto per soldi. È interessante notare come il presupposto di essere nato a Harlem lo condurrà, da uomo che vive ai margini della società, a stare attorno al limite del concetto stesso di eroe, tanto da autodefinirsi Hero for hire. Ripercorriamo la storia di questo eroe al fine di evidenziare quanto, nel mondo Marvel (come nella vita, appunto) il confine tra bene e male sia estremamente labile. Nel mondo DC, all’epoca ancora “conservatore” la storia seguente avrebbe generato senza dubbio un criminale, qui genera un eroe, ma mercenario.
“Luke Cage learned to be a man on the streets of Harlem. Most often, he could be found fleeing the scene of a petty crime with childhood friend Willis Stryker. But as the two matured, Cage took odd jobs to earn money, while Stryker turned to a crime as a profession. The young men also became rivals for the affections of Reva Connors, who chose Cage over Stryker. Insanely jealous, Stryker planted two kilograms of heroin in Cage’s apartment and tipped off the police. After Cage was arrested and incarcerated, Reva was killed in a mob hit targeting Stryker. From prison, Cage swore vengeance against his former friend. Consumed with rage, he frequently engaged in brawls and attempted escape. Cage’s reprehensible behaviour landed him in Seagate, a maximum-security facility in Georgia. He was approached by research psychologist Noah Bernstein, who promised to help him secure parole in exchange for participation in an experiment […]. Once the process had begun, racist correctional officer Albert Rackham […] manipulated the machine’s controls hoping to either maim or kill Cage. Rackam unintentionally advanced the experiment beyond its original design, inducing a body-wide mutagenic effect that enhanced Cage’s body tissue and strength […]. Returned to New York […] Cage interrupted a robbery at a diner. When the owner offered him a cash reward, Cage was inspired to put his newfound powers to use for profit” (Brady, New York, 2002, p. 101).
Troveremo, poi, altri supereroi appartenenti a minoranze etniche, come Shaman in rappresentanza dei nativi americani. Molti di essi saranno mutanti (vedi oltre). Un altro Avenger che merita di essere annoverato nella categoria dei “diversi” ma non emarginati è Iron Man, ovvero Anthony Stark. Anche qui, come in Devil, se c’è un disagio, è tutto interiore, ma il popolo della finzione Marvel non lo emarginerà. Egli, infatti, è uno dei capitalisti più importanti della nazione (finanziatore, dunque, anche degli Avengers), ma è un ex alcolizzato, che non chiuderà mai definitivamente il suo rapporto con la bottiglia (che tiene sempre nel cassetto) e un cardiopatico. Dramma interiore, quindi, ma riconoscimento assoluto da parte del pubblico della sua rettitudine, in quanto capitalista (e, quindi, sicuramente non anti-americano). Nella finzione Marvel Iron Man è, ufficialmente, la guardia del corpo di Stark, ma, in segreto, si tratta di un’armatura per Stark stesso, il quale tra l’altro ha una sorta di dipendenza nei confronti di questa corazza (dopo quella nei confronti dell’alcool) perché vi è un dispositivo che gli regola il cuore.
c) Supereroi «diversi» ed emarginati
I) umani
In questa sottocategoria possiamo citare quasi esclusivamente uno dei primi personaggi Marvel: Hulk. Come abbiamo già detto in precedenza, la serie non ebbe un immediato successo, ma i creatori, Stan Lee e Jack Kirby, insistettero, probabilmente cogliendo la necessarietà del personaggio nel contesto fantastico di quegli anni, tant’è che la seconda serie fu uno dei maggiori successi della casa editrice e il personaggio uno dei più famosi nel mondo. Hulk è il prodotto di un esperimento dello scienziato Bruce Banner, investito da raggi gamma. Da quel momento, ogni volta che l’umano vive uno stato di alterazione emotiva, si trasforma in un mostro che fa il verso a Frankenstein, verde, enorme, fortissimo, e, soprattutto, con un’intelligenza ridotta. Proporre un supereroe non intelligente fu, a nostro avviso, la più grande rivoluzione del settore in quegli anni.
La distanza da Superman era ormai abissale. Non più l’essere perfetto, o quasi. I nuovi eroi erano esseri più simili all’umano, potevano, cioè, avere grandi doti, ma allo stesso tempo, gravi handicap, fino al più assurdo rispetto al mondo ideale, ma decisamente più plausibile se calato nel mondo reale. Il piano si spostava, dunque. I parametri estetici (utilizzeremo questo termine, da ora in poi, nel senso di reazione normale alle percezioni) variavano, anche se in maniera altalenante, poiché non tutte le innovazioni ebbero lo stesso tipo di successo di pubblico. Stava avvenendo ciò che, con altri miti, era già avvenuto: una progressiva smitizzazione e antropizzazione dell’eroe, direttamente proporzionale alla presa di coscienza sociale del potere umano nei confronti della natura. L’uomo prendeva sempre più confidenza con la Luna e la discesa sul satellite del 1969 sarebbe stato l’inizio di una nuova epoca, il simbolo di un nuovo periodo dell’umanità (di quella cosiddetta civilizzata, s’intende, ovvero di tipo occidentale) in cui, a torto o a ragione, la natura non è più un pericolo, ma un mezzo da utilizzare.
Questo periodo non poteva non essere il più fertile per un inizio di una «caduta degli dei» e per il trionfo della «fantascienza», genere nel quale tutto ciò che vi è di mitico è un prodotto del cervello umano, del soggetto che vince sull’oggetto, quindi, e non della mistica, ovvero dell’oggetto. Chiaramente questa distruzione degli dei con la presenza degli stessi implicava l’utilizzo del mezzo ironico e paradossale, necessario al progressivo distaccamento dalla sicurezza dell’eroe per la conquista di quella nell’uomo. E Hulk fu uno dei prodotti di questa tensione antitetica. Per lui essere un supereroe è una condanna. L’eroe-mostro è la negazione dell’uomo e continuamente rinnegato dall’uomo, perché ha, in sé, la carenza dell’intelligenza. L’uomo sa che ciò che l’eroe ha da offrire, che apparentemente è ancora utile perché produce effetti mediamente positivi, è la forza, ma sa anche che, di lì a poco, sarà sovrastata dall’intelligenza. Per questo Hulk è denigrato ed emarginato dall’umanità, poiché egli è l’emblema dell’ultimo appiglio agli eroi. L’uomo, così, non abbandona totalmente l’idea dell’eroe per tema di non farcela da solo, ma lo ridicolizza, intuendo che la sua emancipazione sarebbe stata vicina.
II) alieni
Molti sono gli alieni dell’universo Marvel, per restare nel rispetto della tradizione iniziata da parte DC con Superman, ma la novità introdotta da parte della casa editrice più giovane – la Marvel – fu quella di sfruttare la differenza di provenienza per iniziare a parlare di razzismo. Due di questi eroi (ma il confine fra eroe ed antieroe diviene sempre più labile), infatti, furono protagonisti di vicende più che tormentate.
Il primo, in ordine cronologico, fu uno di quei personaggi “riciclati” dall’epoca Atlas, ovvero Namor the Sub-Mariner, il principe di Atlantide. Si tratta, appunto, del reggente del mondo subacqueo di Atlantide, sprofondato tempo prima negli abissi e precedentemente parte di un unicum con la terraferma attuale, il quale, parlando esclusivamente dell’epoca Marvel e non di quella Atlas, a partire da una famosa puntata fra le prime dei Fantastic Four, cerca di rivendicare, a causa di pressioni di alcune fazioni del popolo, le terre perdute. Non spenderemo troppe parole su questo personaggio, perché nasce come cattivo per poi ammorbidirsi nel tempo.
Chiariremo, quindi, che è difficile stabilire, in epoca Marvel chi fossero i buoni e chi i cattivi, poiché la discriminante normalmente è la titolarità o meno di una testata a fumetti, ma è anche vero che alcuni illustri cattivi sono stati detentori di una testata col loro nome, primo fra tutti il nemico classico del capo dei Fantastic Four, ovvero il Doctor Doom. Nell’ambito degli appassionati, quindi, vi è come un mutuo accordo su chi debba essere considerato buono e chi cattivo, nonostante le ambiguità, e Namor rientra fra i primi. È vero, però, che, in mezzo a tutta l’ambiguità, questo eroe nasce come nemico dell’umanità, anche se tormentato in questo ruolo, al punto poi di redimersi, e che avrà questa veste per lungo tempo. Non si tratta, quindi, di un eroe che fa del bene e che, nonostante ciò, viene emarginato, come succederà qualche anno dopo con Silver Surfer, di cui andiamo a parlare qui di seguito.
Questo supereroe alieno fu, infatti, protagonista di una breve ma famosa saga. A detta di molti, si tratta di uno dei più bei capitoli della letteratura a fumetti – quantomeno statunitense -, scritto da Lee e disegnato quasi totalmente da John Buscema (che in questa saga tentò un approccio sperimentale che poi non sarà più suo, ma che fu particolarmente d’effetto) e, in parte, dall’ormai noto Kirby. Nonostante ciò, allora, non fu un grande successo di pubblico (e infatti chiuse dopo soli diciotto numeri), anche se amato profondamente da chi lo seguiva. Sia il tratto sperimentale che le tematiche eccessivamente innovative, però, furono troppo all’avanguardia per il pubblico, non ancora pronto per un salto in avanti così ampio.
La storia in sintesi è la seguente. Il pianeta Zenn-La è minacciato da Galactus, una delle entità metafisiche (ed estremamente potenti) dell’universo Marvel, il cui compito è divorare mondi quando ha fame. Questa entità si avvale, però, per svolgere meglio il suo compito, di araldi (esseri «normali» presi qua e là nello spazio e trasformati in super-esseri) al suo servizio. Essa accetta, quindi, lo scambio fra la salvezza del pianeta e l’avvento di un nuovo araldo: Norrin Radd, che da allora diventerà Silver Surfer. Fin qui una normale storia di araldi di Galactus. Il racconto prende, però, un’altra piega, poiché il surfista argenteo, dopo aver servito il suo capo devotamente per lungo tempo, visto il valore degli abitanti del pianeta Terra, si rifiuta di farlo divorare dall’entità suddetta. Quest’azione del suddito comporta una punizione da parte del suo signore, il quale lo condanna ad essere imprigionato nell’atmosfera terrestre a tempo indeterminato.
Si può immaginare quale tormento potesse essere per chi era abituato a solcare l’universo in tempi brevissimi. E, in effetti, qui inizia la saga di Silver Surfer, ovvero l’avventura terrestre dell’eroe (l’antefatto è raccontato tramite flashback). Qui, ciò che più ci interessa, dal punto di vista del riflesso sociologico, è che, nonostante la quasi totale abnegazione che ha portato l’ex araldo alla sua sfortunata condizione, la Terra non gli è per niente grata, anzi lo denigra ed emargina, come fosse un reietto, nonostante egli continui a prodigarsi per il pianeta.
“Il fallimento di SS maggiormente stigmatizzato è quello che segna la sua emarginazione sociale da parte degli uomini. Il perpetuarsi ciclico di questa […] condizione di esclusione costituisce, infatti, come si è visto, la struttura portante del paradigma diegetico sul quale sono costruiti gli episodi […]. L’ostilità degli uomini contro SS è motivata essenzialmente in due modi: sommariamente, riconducendola allo stereotipo della violenza cieca contro il diverso in quanto tale; in maniera più problematicamente sottile, come una conseguenza dell’incomunicabilità radicale e insuperabile tra l’escluso e la maggioranza che discende dalla fondamentale soggettività della conoscenza umana. È un fatale fraintendimento, ossia il puntuale concretizzarsi, in due soggetti che osservano o partecipano simultaneamente ad un avvenimento, della possibilità di interpretazioni antitetiche dello stesso fatto […] che impedisce a S.S. l’integrazione con l’umanità” (Distefano, 2005, p. 17).
Tutto ciò, poiché egli è un alieno e non rinnega la sua natura originaria, a differenza di Superman. Silver Surfer, libero dalla condizione di araldo, infatti, auspica soprattutto di tornare sul suo pianeta natio e, ancor di più, dalla sua amata. Un personaggio, dunque, intriso di malinconia per qualcosa che è diverso da quello che era considerato il migliore dei mondi possibili. Oggi, sicuramente, una simile affezione non sarebbe così rivoluzionaria, ma allora significava che poteva esistere qualcosa di altrettanto (se non più) bello di ciò che, per stare in ambito biblico, è il creato. Era esattamente ciò che avrebbe fatto poi la generazione giovanile nei confronti di quella precedente, ottenendo una vera e propria rivoluzione. Perché stravolgere i punti di riferimento sui quali si basa la tendenza alla perfezione, che, in quanto tale, si deve poggiare su valori assoluti e assolutamente condivisi, significa decidere che, chi o cosa è più in alto su una scala di valori, non lo può più essere perché non esiste più la scala stessa. L’aiuto, in ultima analisi, di Silver Surfer, non poteva essere ben accetto, perché egli rifiutava di pensare l’umanità come perfezione. Offriva, quindi, un aiuto relativistico, egualitario e riceveva razzismo.
Fuor di metafora, era una storia presentatasi più volte nel corso dell’umanità e che si sarebbe ripresentata proprio in quegli anni negli Stati Uniti, con la tendenza, fortemente contrastata, a valutare pari a tutti gli altri donne, afro-americani ed altre minoranze. Accettiamo, quindi, la lettura di Gabilliet, il quale riscontra, in questo eroe, “obvious analogies with Jesus Christ” (Gabillet, Michigan, 1994, p. 209). Queste analogie sono, infatti, documentate da notevoli paralleli facilmente riscontrabili nella lettura del testo e nell’interpretazione dei segni grafici. Riportiamo la più emblematica. Silver Surfer allarga le braccia in una maniera che ricorda molto da vicino le rappresentazioni di Gesù Cristo in croce, guarda in alto rivolgendosi, forse, alle forze cosmiche (come Gesù Cristo potrebbe rivolgersi al Dio Padre) e, prima di sfogare la sua rabbia sugli umani, dice: “Perdonatemi per ciò che sto per fare! E concedetemi la forza di poterli perdonare… per avermi costretto a tanto!” (Lee, Nepi, 1990, p. 92). Il parallelo con Gesù Cristo sulla croce è presto fatto: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno” (Luca Evangelista, Lc, 23, 34).
Non si può negare, dunque, l’esplicito richiamo di Lee al messaggio cristiano, ma non si può neanche non notare l’umanità maggiore dell’affermazione dell’araldo. In ogni caso, il richiamo a Gesù Cristo, a nostro avviso, non ha la funzione di divinizzare Silver Surfer, ma di umanizzarlo, ricordando quanto il tema del “diverso” possa essere familiare agli occidentali cristiani, che non hanno per dio un Krishna, una Amaterasu o un Allah, ma il primo dio della storia che ha la caratteristica di essersi volontariamente umanizzato, non per godere di alcune caratteristiche positive dell’umanità (come nel caso di alcune divinità indiane, greche e così via), ma per vivere la condizione di diverso ed emarginato. Si può affermare, quindi, che Lee, per la natura intrinseca del fumetto, che abbiamo già analizzato, usa il tema cristiano a fini retorico-pubblicitari, rivolgendosi a un pubblico che poteva essere sensibile a quelle tematiche. L’opera, poi, come abbiamo visto, sarebbe stata troppo all’avanguardia. Ma non inefficace, poiché, “it proved it was possible for the comic book medium to achieve a shift from stereotypes to narrative myth by means of an exploration of a genre’s ideological margins: in this respect, The Silver Surfer opened the way for such atypical strips as Len Wein and Berni Wrightson’s Swamp Thing” ” (Gabillet, Michigan, 1994. p. 210).
Fine prima parte del Capitolo 2
3 – CONTINUA, fra 15 giorni
Bibliografia
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NOTE FINALI
Questa Tesi di laurea, riveduta e aggiornata per l’occasione, Cesare l’ha pubblicata qualche anno fa nel sito di La Zona Blu (della Luna), che si ringrazia.
Questo è il link: https://www.blue-area.net/dialettica-della-diversita a beneficio di chi volesse leggere la Tesi tutta d’un fiato senza aspettare la pubblicazione a puntate.
Qui troverete invece una edizione ulteriormente rinnovata, a beneficio di una fruizione più agevole.
Le tesi si compone di una premessa, di quattro capitoli e della Bibliografia, che pubblicheremo come indicato di seguito.
Indice
- 1) Premessa
- 2) Capitolo 1: Supereroe DC e supereroe Marvel
- 3) Capitolo 2: Supereroe Marvel – (prima parte – seconda parte e terza parte)
- 4) Capitolo 3: Influenza del supereroe Marvel sul supereroe DC – ( prima parte e seconda parte )
- Bibliografia (in coda ad ogni puntata)
BIOGRAFIA/BIOGRAPHY
Cesare Giombetti
Laureato a Cagliari nel 2006 in Lingue e Culture europee ed extraeuropee con una tesi sul tema della diversità del supereroe nel fumetto statunitense. È stato responsabile editoriale Green Comm Services. Si occupa da anni di traduzione dall’inglese e diffusione del fumetto statunitense in Italia. Ha tradotto Bloody Mary di Ennis (2008), L’ira dello spettro di Fleisher (2008), JSA Classic 5 di Thomas (2009) per la Planeta DeAgostini, tradotto e curato le pubblicazioni Archivi del fumetto 1-2-3 (Daniele Tomasi Editore) e co-tradotto Cruel and unusual di J. Delano (2012, Green Comm Services).
Si è occupato inoltre della cura editoriale di 2020 Visions di Delano (2011, Green Comm Services). Ha curato la rubrica “Seriali sul serio”, sull’uso del seriale come strumento narrativo, per la rivista Continua… (2010/11, Daniele Tomasi Editore). È stato ideatore e organizzatore della rassegna di incontri con autori e operatori del fumetto Crêpes Dessinées, che si è tenuta a Cagliari fino al 2011 raggiungendo le 5 edizioni annuali. Attualmente, nel poco tempo libero a disposizione tra un cambio pannolino e l’altro (non perché nel frattempo sia invecchiato così tanto da diventare incontinente) scrive qualche breve saggio sul fumetto per Fumettomania, per European Comics Journal, traduce libri, London Macabre di Savile e un libro di ricette e si è anche dato alla scrittura di un radiodramma, Problems , ed all’attività di agente letterario. Per Dana editore sarà infatti pubblicato il primo romanzo di J. Delano.
[…] Capitolo 2: Supereroe Marvel – (prima parte – seconda parte – terza […]
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