Il mese prossimo inizieremo le nostre attività con una SUPER MEGA MOSTRA nella nostra città, per FESTEGGIARE l’anniversario dei 30 anni dalla nascita dell’associazione!
In attesa proseguiamo la nostra “festa” virtuale con sempre nuovi testi estratti dall’edizione cartacea di Fumettomania; ieri ed oggi gli articoli sono quelli estratti dal n. 3 della pro-zine dalla rubrica Obiettivo su … Fumetti USA.
Questi due fumetti USA, per esempio, erano belli 30 anni fa e lo sono tutt’ora. Vi consiglio di recuperare queste due miniserie, tra l’altro molti sono acquistabili tramite amazon, ebay ed altri fornitori, a prezzi tutto sommato modici.
Ringrazio il caro amico e socio D. A. che ha trascritto anche questi testi.
Oggi mancano i ricordi legati al Salone di Lucca del 1991, tornano la prossima settimana.
Mario Benenati, responsabile del Fumettomania Factory Magazine.
Nota bene: II festeggiamenti per l’anniversario dei trent’anni dell’associazione “Fumettomania Factory” sono in corso! Il prossimo appuntamento è tra due giorni, il 18 settembre, con altre testimonianze di amici ed ex collaboratori.
Fumettomania da 0 a 30, Trent’anni straordinari!
Com’era il Salone del Fumetto di Lucca – anno 1991, seconda parte
Il 14 maggio 1991 diventammo associazione culturale, inizialmente si chiamava “Laboratorio Giovani esordienti“; l’obiettivo dell’associazione, dichiarato nello Statuto originario, era di far conoscere il fumetto e il mondo editoriale ad esso legato, con una particolare attenzione ai giovani barcellonesi che potevano avvicinarsi sia alla lettura, sia alla creazione di un fumetto.
Quello stesso anno l’associazione fu presente di nuovo al Salone Internazionale del Fumetto di Lucca con un nuovo stand stavolta nella parte bassa del Palazzetto (grazie alla collaborazione di Giorgio Cambini e Giovanni Luisi (entrambi di Livorno), ed un nuovo numero della Fanzine (il n. 3 del quale stiamo pubblicando gli articoli dall’8 settembre).
In quel numero tra gli esordienti c’era un certo Federico Bertolucci, oggi affermato disegnatore internazionale con il suo ciclo di volumi “Love”, scritti da un altro nostro amico, lo scrittore francese Frederic Bremaud,
Era la prima volta che un associazione ed una rivista siciliana partecipavano a questo Salone del Fumetto, uno dei più importanti al mondo. Quell’anno conoscemmo un mucchio di autori USA, che erano ospiti alla manifestazione lucchese, tra cui David Mazzuchelli, George Pratt, Dave McKean, Mark Badger e tanti altri. C’era presente anche l’autore inglese Bryan Talbot, con il quale facemmo amicizia, e il maestro inglese dell’illustrazione John Bolton come ho già scritto lo scorso 11 settembre
OBIETTIVO SU …
Recensioni su fumetti U.S.A. del 1990-91
di Giorgio Cambini, Salvatore Bonanzinga e Mario Benenati
(SETTEMBRE- OTTOBRE 1991)
GIVE ME LIBERTY
(MINI SERIE DI 4 NUMERI-DARK HORSE)
di SALVATORE BONAZINGA.
Quando, il 14 febbraio ’89, acquistai e divorai il paperback di BATMAN: YEAR ONE, appresi di tre progetti futuri di Frank MILLER: ELEKTRA LIVES AGAIN, HARD BOILED e, appunto, GIVE ME LIBERTY. Come accade quando viene annunciato un nuovo progetto di un grande maestro, è iniziata l’attesa nella certezza di leggere del fumetto di qualità, e non di assistere ad una delle tante operazioni di merchandising che negli ultimi anni falsano questo settore.
A proposito di GIVE ME LIBERTY, non era solo il nome dello scrittore a farne un must, dal momento che i disegni, affidati al Dave Gibbons di WATCHMEN, costituivano un richiamo sicuramente non inferiore. La prima sorpresa giunge dal nome dell’editore, quella Dark Horse che sta costruendo un solido impero sui sequel di celebri film di fantascienza, nel segno comunque della qualità, insidiando il secondo posto della DC Comics nel mercato statunitense. Ove qualcuno avesse visto l’edizione italiana sulla rivista NOVA EXPRESS e non conoscesse l’originale, è bene precisare che i quattro brossurati di cui è costituita la miniserie sono a colori (di Robin Smith) ed offrono in seconda e terza di copertina una semplice quanto suggestiva sintesi di quanto viene narrato all’interno mostrando la progressiva disgregazione degli Stati Uniti, tra il 1995 ed il 2012.
Il 1995 è l’anno di nascita della protagonista, la giovane di colore Martha Washington:
“Mamma dice che sono nata prima che il Presidente fosse eletto. La prima volta che fu eletto. Un intero anno prima.” Già le prime 3 tavole sono sufficienti a dare al lettore una perfetta sintesi di sci anni di storia di un paese fortemente minato dal degrado sociale e dal distacco del popolo dalle istituzioni: a Gibbons basta mostrare il bagno di folla del presidente Rexall alla sua prima elezione circondato da un minimo servizio di sicurezza, con attorno cartelli che dicono un semplice “YES “; cinque anni dopo ha bisogno di forze di polizia in assetto da guerra e quei cartelli esclamano un ben più duro e probabilmente senza alternative ”HELL YES”; nel frattempo la repressione ha colpito chi, come il padre di Martha, ha sperato di poter uscire dal ghetto.
I temi sono quindi essenzialmente politici e più concreti di quanto possa apparire: una serie di emendamenti fa del Presidente un dittatore capace di stravolgere il ruolo mondiale degli USA, facendoli persino espellere dalle Nazioni Unite; il ghetto, chiamato eufemisticamente Green, è una prigione per innocenti che hanno il torto di essere poveri, i malati di mente (ma in passato, nel mondo reale, erano definiti così anche i dissidenti) sono rifiutati dalla stato assistenziale, un po’ come una certa legge italiana sulla chiusura degli ospedali psichiatrici; le minoranze in genere vengono calpestate o affrontate con le armi.
L’unica soluzione che questa realtà offre è l’arruolamento nel corpo militare denominato PAX, dove la protagonista diverrà un elemento catalizzatore degli eventi del suo paese, a causa di una singolare vendetta che il traditore Moretti cerca nei suoi confronti, parallelamente alla propria scalata al potere. Questo la rende testimone della storia di un mondo che cambia, a partire dalla fugace speranza data dal neopresidente Nissen.
Questa è una figura decisamente interessante e che suggerisce confronti, ad esempio, con i fatti sovietici: un presidente probabilmente sottovalutato da chi lo ha messo al potere che si rivela capace di scelte importanti. Dopo un inizio che sembrava far risorgere il sogno americano, viene trasformato in un fantoccio sempre meno responsabile delle proprie azioni, fino ad incontrare la fine in una congiura, pugnalato come si conviene quanto meno dai tempi di Giulio Cesare.
Questo falso dittatore dietro il quale si muovevano i veri burattinai della politica americana era però in grado di tenere unita la nazione, che con la sua fine si frantuma sotto le tensioni ormai esplosive in una serie di nuovi stati, il più potente dei quali è God’s Country, comandato dal folle Ministro della Sanità che si appoggia all’Iniziativa Neo-Calvinista, con il proposito di liberare il paese dalle “impurità”, da tutti i comportamenti che non fanno parte della morale più rigida.
Tra gli altri stati è quanto meno da menzionare la Real America che fa capo alla società FatBoy Burgers, simbolo delle corporazioni che dal potere economico derivano quello politico; significativo, anche se di nessun rilievo nella narrazione, il fatto che resti una New England Federation of States comprendente un nucleo che si rifà alle 13 colonie del 1776.
Dopo il disfacimento, è necessario un nuovo “collante” per ricreare gli USA, e questo sarà il redivivo Rexall, minore dei mali cui si perdona anche di aver recitato un ruolo da Grande Fratello quando aveva imposto nelle scuole un quiz presidenziale nel quale la risposta esatta era quasi sempre Rexall, facendo dimenticare uomini come Lincoln e Washington (il colmo, quest’ultimo, per la protagonista); a proposito di Lincoln è da ricordare il monologo di Nissen rivolto al suo ritratto, un momento in cui affiorano le debolezze e le speranze deluse dell’uomo che era divenuto Presidente quasi per caso ed aveva creduto di poter riparare anche alla tragedia della nazione Apache.
La vicenda di Martha che in 17 anni dalla nascita nel ghetto arriva al grado di tenente nei PAX e soprattutto ad uno status di eroina nazionale può essere definita in breve un sogno americano (come suggerisce il sottotitolo) che sorge sulle ceneri degli incubi americani; un sogno che è pervaso dalla drammaticità e dalla crudezza che sono tratti distintivi di Frank Miller, ben lontano dall’ottimismo alla Frank Capra e forse per questo capace di suscitare polemiche per aver prodotto una storia capace di mettere l’America di fronte alle tensioni ed ambizioni storicamente presenti nella sua società, una vicenda terribile perché porta alle estreme conseguenze molti tratti che appartengono al mondo reale.
Se il racconto è crudo e drammatico, si deve alla riconosciuta abilità di Dave Gibbons il fatto che non siano venuti meno la violenza e la scansione cinematografica della tavole, elementi altrettanto tipici e fondamentali delle cose migliori che Miller ci abbia offerto fino ad oggi. In GIVE ME LIBERTY Gibbons dimostra di essere a proprio agio anche nel passare ad illustrazioni di respiro ben più ampio delle nove vignette per tavola di WATCHMEN: due modi di concretizzare col suo tratto sempre nitido e preciso i diversi stili narrativi di grandi scrittori, segno di una maturità artistica che non delude il lettore che sa apprezzare il suo tratto inconfondibile seppure classico. Probabilmente l’artista era atteso alla prova anche più di Miller, avendo l’arduo compito di disegnare un fumetto pensato come un film.
Dopo aver espresso le mie sensazioni, più che positive evidentemente, vorrei tornare in breve all’argomento Dark Horse: questa casa indipendente che sfida le majors ha dimostrato di saper pubblicare con ottimi risultati opere importanti, guadagnandosi la fiducia di artisti che continuano ad affidarle i loro progetti. È il caso di Miller con il nuovo serial SIN CITY e di Byrne con THE NEXT MEN, autori che riceverebbero fior di quattrini ovunque; eppure, preferiscono la libertà di un editore indipendente che da delle garanzie di professionalità. La crescita della DARK HORSE e, in un futuro non improbabile, della VALIANT di Jim Shooter può essere l’elemento fondamentale per non far tornare il fumetto americano ai suoi anni più bui, illuminato solo da fatue operazioni commerciali.
L’INTERO NUMERO TRE DI FUMETTOMANIA
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