Febbraio 1950: Ben Big Bolt e i pugili di carta
di Carlo Scaringi
Lo sport ha spesso ispirato molte storie a fumetti, dall’automobilismo (con Michel Vaillant, per esempio) al calcio, ma soprattutto al pugilato, che è forse la disciplina agonistica preferita dagli autori di fumetti, probabilmente per la forte carica di violenza e di agonismo che contiene. Anche nel cinema – fratello maggiore dei comics – non mancano film ambientati nel mondo della boxe, quasi sempre ricco di aspetti avventurosi (o misteriosi) da raccontare con un pizzico di fantasia. Uno dei primi pugili dei fumetti è stato Joe Palooka, creato all’inizio degli anni Trenta dall’americano Ham Fisher. In quel periodo anche Braccio di Ferro saliva sul ring, ma più che un pugile il personaggio ideato da Segar era un marinaio quasi in disarmo, sempre arrabbiato e nemico dei prepotenti. Nel corso degli anni ci sono stati altri pugili di carta, quasi mai però passati alla storia del fumetto, come Pacho Dinamite dello spagnolo Manuel Quesada o Maximo Tops del messicano Abel Quezada e pochi altri dalla breve popolarità. Più lunga e fortunata è stata invece la carriera di Big Ben Bolt, nato il 20 febbraio 1950, su testi di Eliot Caplin e disegnato da John Mullen Murphy, che dal 25 maggio 1951 realizzò anche le tavole domenicali.
Il nome – che ricorda un po’ la famosa campana di Londra – deriva da Ben Bolt, il protagonista di un lavoro scritto nel 1845 dall’inglese Thomas Dunne. Il nostro eroe ama quella che una volta si definiva la “nobile arte”, ma non è un pugile di professione, anzi si potrebbe definire un giovanotto di belle speranze, ricco, elegante, colto, che vive con due ricchi zii nel cuore di Boston, centro intellettuale dell’America di ieri. Ha un amico, Spider Haines, che gli fa da manager e lo spinge a salire sul ring, ma Big Ben Bolt preferisce evitare questo sport così faticoso e cerca invece di girare il mondo, magari come giornalista che ama anche improvvisarsi detective. Questo singolare hobby lo costringe ogni tanto a salire sul ring, per sconfiggere i cattivi di turno e soprattutto per accontentare il suo amico Spider. Le storie sono nel complesso abbastanza semplici e prevedibili, proposte con un disegno attento e realistico. Alla metà degli anni Cinquanta hanno avuto anche la versione in comic-books con un buon successo in molti Paesi, Italia compresa dove sono stati pubblicati in una collana curata da Angela Giussani che in quel periodo stava preparando il ben più fortunato ciclo di Diabolik.
Per saperne di più
In Italia il pugilato è entrato nei fumetti sulla scia delle vittorie di Carnera, primo italiano campione del mondo dei pesi massimi. Nel 1938 il giornalista sportivo Vincenzo Baggioli ideò Dick Fulmine, disegnato da Carlo Cossio, un italo-americano dal pugno proibito che negli Stati Uniti difende, anche sul ring se necessario, gli italiani emigrati laggiù. Personaggio tra i più popolari dell’epoca, Dick Fulmine ha trovato un pericoloso concorrente in Furio Almirante, ideato nel 1940 da Gianluigi Bonelli e disegnato dai fratelli Cossio. Anche questo pugile – che nel dopoguerra si trasformerà in Furio Mascherato – vive avventure non dissimili da quelle di Dick Fulmine, rese spesso più vivaci dai coloriti dialoghi di papà Bonelli, pieni di fantasiose e incredibili esclamazioni. Nel 1947 Mario Uggeri disegnò una serie di albi con protagonista Carnera, impegnato non solo sul ring, ma anche in indagini poliziesche. Più serio era invece il Carnera proposto nel 1972 da Sergio Toppi, mentre quello raccontato all’inizio del Duemila in un volume di Davide Toffolo è un Carnera realistico, ma anche implicato in storie (possibili, ma non troppo) di mafia e scommesse.
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