GIORNO DELLA MEMORIA A BARCELLONA P.G. – PRIMA PARTE : FUMETTI e SHOAH

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INTRODUZIONE

Anche qui a Barcellona P.G., abbiamo ricordato la ricorrenza  del 27 gennaio, il Giorno della Memoria.
Due professori universitari, uno scrittore, un critico di fumetti, un critico cinematografico, ed un giornalista, hanno indicato alla platea alcune chiavi di lettura e di maggiore di conoscenza sull’eccidio degli ebrei.
Domenica 27 gennaio, infatti, l’incontro organizzato dall’ass. culturale Prisma è stato davvero un momento di riflessione e di consapevolezza di altissimo livello; e la sala dell’ex Pescheria strapiena di gente, che in maniera attenta ha seguito i sei interventi, ne è stata la prova. La cultura a Barcellona Pozzo di Gotto è viva, riesce a trovare sempre nuovi spazi per esprimersi, non possiamo che esserne felici.

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Questi gli argomenti trattati ed i relativi relatori:

Prof. Luigi Chiara: La Shoah. Dall’abolizione dei diritti allo sterminio di massa.
Prof. Giuseppe Bottaro: Antisemitismo e totalitarismo.
Dott. Gino Caruso : la presenza ebraica nella nostra zona nel corso degli ultimi secoli
Arch. Mario Benenati: Fumetti e Shoah, Da Maus a Giorgio Perlasca.
Antono Nunzio Isgrò : Cinema e Shoah
Avv. Fabrizio Scibilia : L’umorismo ebreo, l’Hiddish nel cinema

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Il saluto tra i relatori dell’incontro. Per gentile concessione © fumettomania factory

I tre interventi precedenti, al mio sono stati molto interessanti, tant’è che mi sono trascritto degli appunti sul mio foglio per collegare  alcune frasi del mio intervento a quelli dei prof.ri Bottaro e Chiara.
Sono stati fatti degli accenni al Totalitarismo, sulla possibilità se si potesse o meno prevedere l’olocausto prima che avvenisse, sui tedeschi che mettevano la razza al centro della vita, dell’esistenza, sui  prigionieri che nei campi di concentramento ( poi diventati campi di  sterminio), che venivano divisi per categorie, per razze; ed ancora gli altri accenni su tutte le varie leggi razziali proclamate in Germania, prima del 1940, ed infine il pensiero di come si sia arrivata alla soluzione finale per sterminare gli ebrei, studiando “la soluzione tecnica migliore”, su come i tedeschi abbiamo smarrito il senso, la differenza tra il bene e il male.
Tutte queste cose devono far riflettere, non si può dimenticare ma si deve ricordare e prenderne coscienza.

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Riporto il mio intervento

Nota Bene: le parti in corsivo sono gli appunti che letto sul foglio)  :

<<Ringrazio innanzitutto Domenico Genovese e l’associazione Prisma per avere invitato me, fabrizio e Antonio (soci dell’ass. culturale Fumettomania Factory),  a questo incontro.
Dopo gli interventi precedenti dalle tematiche così “forti” e drammatiche, cerco di smorzare il tono facendo vedere ai presenti  due immagini tratte dalla mostra “I bambini della Shoah” (organizzata dall’associaz. di volontariato “Nuova Officina Onlus” con la “Casa della Memoria e della Storia” di Roma e con la scuola secondaria di I grado “G. Amendola” ) che si conclude oggi a Sarno, in provincia di Salerno.
40 disegnatori, fumettisti, vignettisti italiani e stranieri, hanno contribuito all’allestimento della mostra donando opere che raccontano – attraverso il linguaggio, semplice ed universale, del disegno – la tragedia dello sterminio dei bambini ebrei nei campi di concentramento nazisti.
In particolare sono stati interessanti due percorsi di tavole illustrate, rispettivamente tratte dai libri “L’albero di Anne” – edito dalla casa editrice “Orecchio Acerbo” – e “Il volo di Sara”, pubblicato dall’editore “Fatatrac”.


Le due immagini sono estratte dal libro Il volo di Sara che è la storia di un’amicizia tra una bambina e un uccellino, un pettirosso, nata in un luogo di dolore e di morte durante la Seconda Guerra Mondiale….Ad accompagnare lo straordinario testo di Lorenza Farina, sono le intense e poetiche illustrazioni di Sonia L.M. Possentini, che con un realismo quasi fotografico restituisce i tratti essenziali del racconto, contribuendo così a mantenere il legame con la Storia vera!

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Dopo queste due immagini molto delicate e poetiche passo all’intervento vero e proprio.

Quello che è già venuto fuori dalla prima parte di questo incontro, sottolineato anche dall’intervento iniziale dell’assessore Raffaella Campo,  è l’importanza della memoria.

Citando l’articolo ” Il fumetto e la Shoah – di Simone RASTELLI (sito Lo Spazio Bianco)“: Esiste un’espressione efficacissima, che definisce :“memoria vivente” quella incarnata dai testimoni diretti, e “memoria culturale” tutto ciò’ che su uno specifico argomento viene prodotto: studi, analisi, racconti, ecc.. La prima ha evidentemente una vita limitata, corrispondente a quella di chi ha vissuto i fatti, mentre la seconda si fonda sulla ricerca e quindi sulla disponibilità di testimonianze e documenti.

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Nel caso della Shoah, che ha avuto luogo  settanta anni fa, essendoci sempre meno testimoni diretti, si deve stabilire se dobbiamo e possiamo accontentarci della “memoria culturale come unica forma di narrazione. La risposta è No, perché gli autori di fumetti , che hanno affrontato la shoah, hanno cercato sempre di mediare la memoria vivente e quella culturale; Art Spiegelman, ad esempio, nel suo capolavoro “Maus”, si ritrae più volte nell’atto di prendere appunti, di quello che racconta il padre. La storia tragica della vita di suo padre (Vladek) si condensa così nei quadernetti pieni di appunti di Art:  il quale nel frattempo non smetterà di cercare i quaderni della madre Anja (che aveva sentito il bisogno di raccogliere, di annotare, di fissare su carta cio’ che le era accaduto). I quaderni non si troveranno e gli appunti di Art li sostituiranno in pieno; vince così nel romanzo, perché l’autore vuole sottolinearla, la forte volontà di narrare per non far dimenticare.

Non dimenticare, ecco la parola chiave, raccontare la storia, narrare la Shoah, è un’operazione delicata, perché l’autore , non solo si deve confrontare con tutti i problemi tipici della narrazione (consistenza, verosimiglianza, solidità dell’intreccio, scelta del linguaggio e così via), ma anche con le ricerche, testimonianze e documentazione disponibile.

Fatta questa premessa, voglio sottolineare che il fumetto ha dedicato poche opere alla Shoah, circa venticinque libri, dei quali circa la metà tradotta.  Questa esiguo numero di volumi ha almeno tre motivazioni principali.

Il primo è la delicatezza del tema, aspetto ovviamente condiviso da qualsiasi linguaggio.

Il secondo è la scarsa considerazione che il mondo del fumetto, gli autori, gli editori, ed i lettori,  ha, o almeno ha avuto, nei confronti delle capacità e della dignità del mezzo espressivo.
Fino al 1986, anno di uscita del primo volume di Maus,  i fumetti erano considerati negli Stati Uniti, roba per bambini, e c’erano temi che il fumetto sembrava non fosse in grado, o non dovesse permettersi, di affrontare.

Terzo motivo è che pochissimi testimoni hanno affidato al fumetto le proprie memorie. Speigelman nel suo capolavoro, invece fa proprio questo, come già detto,  l’autore prende appunti di quello che racconta il padre. Gli appunti di Art  diventeranno così le nuove memoria del Padre.

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Ma torniamo al secondo motivo, con una breve cronologia di fumetti dedicati alla Shoah. il primo vago, accenno alla persecuzione degli ebrei in un fumetto si trova in “La Bete est Morte”, scritto in Francia nel 1944 (vedasi le due diapositive : la copertina ed una tavola della storia), i protagonisti sono degli animali antropomorfi legati alla classica rappresentazione disneayana ; nel 1955 , negli USA, Bernie Kriegsten pubblica sul n. 27 di Crime Suspen Stories (una delle tante collane della EC) “Master Race“, storia breve che narra l’incontro fra un sopravvissuto ed uno dei suoi persecutori; dopo oltre venti anni vinzia ad essere pubblicato Maus di Spiegelman. Nel 1973, infatti, Art inizia a disegnare Maus, lo inizia a pubblicare nel 1978 nella rivista america RAW, e lo completa nel 1991; anche se il primo volume esce nel 1986 mentre il secondo viene pubblicato nel 1991.

Breve approfondimento su MAUS.


Come sottolinea anche Umberto Eco, in una sua famosissima citazione: “Maus è una storia splendida, che ti prende e non ti lascia più.

Maus è in assoluto il lavoro a fumetti più analizzato e su cui si sono scritte centinai e centinai di articoli, è un testo di grande ricchezza linguistica, strutturale e narrativa, ed una storia narrata con una sensibilità ed un rispetto estremi per il dolore. Si, perché il libro un  lungo, doloroso e affascinante, racconto in cui si intrecciano storie e Storia, vicende personali e i Grandi Eventi che fanno loro da sfondo..

L’autore, infatti, racconta : il rapporto difficilissimo e doloroso di Spiegelman col padre; il suicidio della madre; la successiva depressione e il ricovero in una struttura psichiatrica; l’impossibile, frustrante competizione col ricordo del fratello maggiore Richieu, morto prima della sua nascita).

Spiegelman prende le mosse dalla giovinezza del padre seguendolo fino all’internamento (“in lager”, direbbe Primo Levi), non esitando a superare quella soglia che al padre fu risparmiata: Maus porta il lettore dentro le camere a gas in funzione. Ci riesce con credibilità sconvolgente, come è credibile e sconvolgente tutta l’opera, grazie ad almeno tre dei tanti punti di forza.

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Alcuni punti di forza della graphic novel  sono :
– la particolare e duplice voce narrante del libro. Da un lato c’è l’autore, che si disegna e rappresenta in prima persona nella storia Dall’altro c’è la voce del padre, con la sua parlata approssimativa, di immigrato che dopo 30 anni ancora non ha imparato la lingua del paese adottivo. Il linguaggio del padre  ha fatto tribolare tutti i vari traduttori delle varie edizioni della graphic novel nelle altre lingue.

– il noto espediente di rappresentare con fattezze animali i vari gruppi umani.
Mi ricollego a quello che ha detto prima il prof. Chiara cioè che i prigionieri nei campi di sterminio erano divisi per categorie e per razze. A distanza di anni poteva un autore sensibile narrare un’opera prendendo spunto da questa modo di operare dei tedeschi?
La risposta la troviamo in questo racconto di Spiegelman: ed è Si 
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I polacchi sono rappresentati come maiali, i francesi come rane, gli americani come cani e naturalmente ebrei-topi e tedeschi-gatti. Pur riconoscendo formalmente  la tradizione fumettistica dei “funny animals” (Disney in testa), gli “animals” di Spiegelman sono tutto meno che “funny”, in loro non c’è nessuna intenzione umoristica, satirica o parodistica. Le fattezze animali dei personaggi hanno invece la funzione di una maschera, proponendo al lettore un’implicita ma precisa rappresentazione delle divisioni nazionali ed etniche dell’Europa del periodo ma soprattutto del ruolo cruciale che l’uso criminoso degli stereotipi ha storicamente avuto nel propagare divisioni e ostilità; esattamente quello che aveva esposto prima il prof. Chiara.

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Il libro si differenza dalla produzione mainstream di quegli anni (1978-1985) perchè è bianco e nero. Le foto dei lager e delle deportazioni, che abbiamo iniziato ad osservare sui libri già dai primi anni di scuola sono in bianco  e nero, così come alcuni i film sulla seconda guerra mondiale. E In Italia, dove è netta la differenza fra fumetto italiano (solitamente in B/n) e fumetto americano (solitamente a colori), questo elemento balzò immediatamente all’occhio. Era quasi “scontata” la scelta dell’autore del B/n invece del colore.

Ricordo pure ai presenti che, come già precisato prima, che Fino al 1986, anno di uscita del primo volume di Maus,  i fumetti erano considerati negli Stati uniti, roba per bambini; quell’anno furono pubblicati tre opere : Watchmen e The Dark Knight Returns e Maus, appunto. 

Maus è ritenuto, quello che più  conteneva in se il termine “graphic novel” e l’idea di un fumetti per un pubblico maturo ed ha avuto merito di cambiare la percezione del pubblico di ciò che i fumetti potrebbero essere

L’attenzione dei media dopo la pubblicazione del 1° volume fu inaspettato, il volume ebbe centinaia di recensioni (prevalentemente positive) e divenne il centro di una nuova attenzione focalizzata sul fumetto. Inizialmente i critici mostrarono una certa riluttanza a includere i fumetti in un discorso letterario. Dopo la sua vittoria del premio Pulitzer Special Award (1992), a poco a poco ha avuto una maggiore accettazione e interesse tra gli accademici.

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Il fatto che  pochissimi testimoni hanno affidato al fumetto le proprie memorie ha probabilmente spinto Joe Kubert, uno dei più grandi cartoonist americani di tutti i tempi, nato da genitori polacchi (scomparso lo scorso 12 agosto 2012),ad immaginare un proprio alter ego travolto dalla persecuzione nazista nella graphic novel Yossel: 19 Aprile 1943 – (Free Books, 2005 – 132 pag. b/n cart.)

Il giovanissimo Yossel è rintanato, l’8 Maggio 1943, a Varsavia, nel Ghetto ebraico,  insieme a decine di polacchi ebrei, nelle gallerie sotto la città in attesa di una probabile rappresaglia da parte dei soldati tedeschi.

Nel silenzio dell’attesa il ragazzino inizia a fare quello che ha sempre amato fare: disegnare. Attraverso i suoi disegni ed i disegni evocativi di Kubert ci viene raccontato come la sua vita a Yzeran, piccolissima città della Polonia, si trasformi in un incubo a seguito della deportazione imposta dai tedeschi dopo l’invasione. Rivediamo attraverso gli schizzi e rileggiamo nelle didascalie una storia che dovremmo già conoscere a memoria; una storia di progressiva cancellazione dei diritti personali degli ebrei rinchiusi nello stretto Ghetto di Varsavia …(visione di 2 DIAPOSITIVE: Copertina e tavola interna)

Da un punto di vista artistico Yossel può essere considerato come un manuale del fumetto, nel quale le immagini di Joe Kubert non sono perfette, i disegni non sono fotografie, gli sfondi sono abbozzati o non ci sono del tutto, non c’e’ colore ed anzi una patina di sporco si posa su tutte le pagine.

Passando in rassegna un’altro aspetto che alcuni fumettisti hanno trattato, si può affermare che oltre la prospettiva psicologia individuale ( la Shoah è un’esperienza che ha stravolto il rapporto fra individuo ed esistenza attraverso la demolizione del senso stesso del termine “individuo”), come in Maus ed in Yossel,   c’è anche l’aspetto della cosidetta  evoluzione socialeRaccontare la Shoah, stadio dell’evoluzione della societa’, mette in scena la fragilità sociale e politica delle società in cui ha avuto luogo e quindi analizza e spinge a confrontarsi con la possibilità che quella degenerazione avvenga di nuovo.

Questa seconda prospettiva è ad esempio alla base di due opere di autori italiani: Esperanto ( dove Otto Gabos racconta le conseguenze della fuga di un ufficiale nazista in un universo parallelo) e Dylan Dog: Doktor Terror, (dove Tiziano Sclavi e Coppola fanno scontrare Dylan Dog con un gruppo neonazista e mettono in scena l’inquietante indifferenza delle persone comuni verso questi rigurgiti di razzismo).

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In questa categoria, rientra anche  Auschwitz Ed. Il Melangolo – pag. 96 – bicromia) di Pascal Croci  poiché l’autore utilizza come voci narranti due sopravvissuti che si trovano coinvolti nell’inferno della guerra civile jugoslava.

Croci convoglia la sua attenzione e la sua arte, sullo sterminio degli ebrei effettuato dai nazisti prima e durante la Seconda Guerra Mondiale. Lo stesso autore infatti cita la miniserie Tv Olocausto (trasmessa anche in Italia) così come la Graphic Novel Maus.

Rispetto a Maus il volume di Croci si differenzia per più cose. Auschwitz copre un arco di tempo molto più breve, e inoltre è ambientato sempre nello stesso luogo; in Maus, invece, l’autore ha avuto il tempo ed il modo per raccontare non solo la parte finale dell’eccidio degli ebrei, ma anche il crescendo dell’orrore dalle prime leggi razziali fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale, inframezzando il tutto con scene della vita sua e di suo padre al giorno d’oggi. Croci punta il dito dritto sulle atrocità dei lager. (visione di 2 DIAPOSITIVE: Copertina e tavola interna)

E IN ITALIA , nessun autore ha tentato di raccontare la shoah?

In effetti fino al 2009 c’erano stati solo 2 opere   Esperanto e Dylan Dog: Doktor Terror.  Oltre i due titoli sopra citati,se ne sono aggiunti in questi ultimi anni. Iniziamo da Magneto: Testament (Marvel Comics/Panini Comics), in cui l’italiano Carmine di Giandomenico affianca lo statunitense Greg Pak.
Premessa importante per chi ha visto qualcuno dei 3 film degli X-Men. Magneto e’ stato uno dei criminali più pericolosi dell’universo narrativo della Marvel comics, è un Mutante di origine ebrea, ed era convinto che umani e mutanti non potevano vivere insieme, ma i mutanti dovevano governare e dominare il resto dell’umanità. Nelle storie a fumetti degli X-Men e nel film questo concetto è molto chiaro. Sia nei fumetti , sia nel film , si accenna più volte  al fatto che lui fosse uno dei prigionieri di Auschwitz, ma niente di più.

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Ed invece nel volume “Magneto testament” (Marvel Comics/Panini C. , collana 100%) si racconta che prima di Erik Magnus Lensherr, alias Magneto, vi era solo un ragazzino di nome Max Eisenhardt, figlio e nipote di orologiai ebrei. Max, nel 1935, vive nella Germania dominata dal fiorente Terzo Reich, guidato da un controverso ma carismatico Hitler, che promette ai tedeschi di fare grande la Germania come mai prima d’ora.

Pak racconta la vita di Max Eisenhardt nel corso di un decennio che lo vede prima ricco rampollo di una famiglia ebrea, poi emarginato, poi fuggiasco, poi prigioniero, poi mero oggetto, ingranaggio della macchina nazista che vuole deumanizzare gli ebrei, per ucciderli prima spiritualmente e poi fisicamente. I poteri magnetici di Max ancora non si sono mai manifestati, e nel corso del volume non faranno mai la loro comparsa, se si eccettua il miracoloso scampare ad una fucilazione, che insinua nel lettore il dubbio se si sia trattato di semplice fortuna o forse di una prima, inconscia manifestazione dei poteri che avrebbero reso Magneto uno degli uomini (e Mutanti) più pericolosi al mondo. (visione di 2 DIAPOSITIVE: copertina e tavola interna, quella in cui accenno alla prima manifestazione dei poteri di magneto)

La storia è narrata con cruda dovizia di particolari. Greg Pak mostra subito al lettore di avere compiuto un preciso e minuzioso lavoro di documentazione, come anche testimoniato dalla bibliografia indicata nelle note finali. Alla parte grafica troviamo un talentuso Carmine Di Giandomenico. Atmosfere, espressioni, recitazione dei personaggi e regia delle tavole indicano una cura eccezionale nel proprio lavoro. Anche per lui va segnalata l’attentissimo lavoro di ricerca iconografica che ha permesso di ottenere un volume storicamente fedele anche dal punto di vista grafico.

Dopo queste prime tre opere, che non trattano vicende italiane ma sono ambientati altrove, vengono finalmente pubblicati una serie di libri a fumetti ambientati in Italia e/o con personaggi italiani.
Un lavoro italiano, particolarmente apprezzabile per documentazione e rigore storico, è Stalag XB di Marco Ficarra (Becco Giallo, 2009), che sulla base di corrispondenze private ricostruisce la vicenda di un parente dell’autore, ufficiale dell’esercito regio e internato militare dopo l’8 settembre 1943 in seguito al rifiuto di aderire alla Repubblica Sociale Italiana.

Un altro libro italiano, incompiuto per eccesso d’ambizione ma apprezzabile per l’originalità dell’idea, è La nebbia e il granito di Davide G. G. Caci, Fulvio Gambotto e Mattia Surroz (001 Edizioni, 2010), biografia civile e politica di Altiero Spinelli, antifascista e padre del federalismo europeo. (DIAPOSITIVE)

GIORGIO PERLASCA

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E nel gennaio del 2011, infine, l’editore Renoir ha pubblicato il libro “Giorgio Perlasca, un uomo comune, di cui ho già scritto nel sito di fumettomania.

<< Giorgio Perlasca fu uno dei pochi uomini comuni che, durante la seconda guerra mondiale, fecero la cosa giusta, cioè aiutare altri uomini, salvarli dalla morte certa e dare loro una dignità ed una speranza.
Da una decina di anni, la vicenda umana ed eroica di G. Perlasca viene presentata ad un numero sempre più vasto di italiani. Libri, documentari, fiction televisiva, stanno finalmente ricostruendo, ognuno col proprio punta di vista, il vasto mosaico legato al gesto di un italiano che si è ritrovato suo malgrado all’interno di quel meccanismo disumano, aberrante e distruttivo della guerra, della seconda guerra mondiale.

Perlasca, come Gino Bartali a Firenze, come i cittadini di Monterotondo, come Vassili Zaitsev (un pastore russo, infallibile cecchino dell’Armata Rossa che ingaggiò un tremendo duello con il miglior tiratore tedesco, come ampiamente descritto nel film “Il Nemico alle Porte”), ed infine, come Oskar Schindler, è diventato suo malgrado un eroe, un uomo da onorare e ricordare.

La trama (per chi non lo conosce): siamo a Budapest, anno 1944, il governo ungherese è caduto e comandano i nazisti. Un italiano che lavora lì, Giorgio Perlasca, braccato dai nazisti (da traditore come tutti gli italiani, perché la nostra nazione ha firmato l’armistizio con le truppe alleate) invece di tornare in Italia, o rifugiarsi in Svizzera, si inventa una nuova identità di cittadino spagnolo, e, con la complicità dell’ambasciata spagnola, inizia la sua attività di protezione degli ebrei di Budapest dai nazisti, subendo maltrattamenti fisici e verbali, sfidando la morte un più di un’occasione, fino a quando i russi non irromperanno in città, “liberandola” dai nazisti.>

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Nel libro non viene narrato, che Perlasca tornerà in Italia, e non racconterà a nessuno questa sua vicenda così come non verrà raccontata neanche dal governo spagnolo, e che la vicenda verrà fuori solo negli anni ’80 del secolo scorso. Da quel momento Perlasca verrà considerato, per le tutte le generazioni a venire, Giusto tra le nazioni, titolo che il governo israeliano gli ha concesso per le sue coraggiose azioni a Budapest.
Il libro è disegnato con un tratto realista, da un giovane autore pugliese, Ennio Bufi, (Geronimo Stilton, 2010, e in alcuni racconti di una nuova serie dedicata a Don Camillo, 2011) con una gabbia di 5/6 vignette per pagina, di cui una quasi sempre non contornata ma che non disdegna passaggi a pagine con sole vignette orizzontali e qualche pagina intera, quest’ultima utilizzata per sottolineare momenti cruciali della storia. Un taglio nell’insieme molto cinematografico.

Anche la colorazione, che ha come caratteristica un viraggio sul seppia per l’intero libro, è affidata ad un’altro giovane autore, Mirka Andolfo (classe ’89, con esperienza per le Edizioni Piemme e per Renoir), che coinvolge il lettore e lo trasporta nell’atmosfera della seconda guerra mondiale.
C’è un senso quasi claustrofobico nel libro a sottolineare che l’azione si svolge al chiuso, dentro le case dei protagonisti e che gli stessi stanno vivendo una situazione di reclusi, nascosti; il mondo visibile dalle finestre è lontano dalle loro attuali vite; gli esterni sono rappresentati prevalentemente in notturna, o c’è nebbia o piove, o ancora nei momenti in cui la città è sotto l’effetto delle bombe e dei proiettili.
A livello di scrittura, il palermitano Marco Sonseri (Panini Comics, San Paolo Edizioni, Pavesio Editore, etc.) cerca di imporre un equilibro tra il taglio storico e quello documentarista, cerca di non farsi prendere la mano dalle altre trasposizioni di Perlasca, in particolare quella televisiva. I dialoghi sono asciutti e diretti, diventano man mano nervosi e drammatici, come il susseguirsi degli eventi. >> (Vedesi 4 DIAPOSITIVE)

CONCLUSIONI

Conservare e trasmettere la memoria, illustrare il percorso che ha reso possibile la Shoah sono stati e lo sono tuttora, obiettivi e strumenti, che hanno come  fine ultimo quello impedire la replica di simili orrori.

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Trattare un simile tema significa allora confrontarsi con una visione del mondo, della storia, dell’umanita’, della società e del futuro: magari esporle, in modo da indurre il lettore a confrontarsi con esse, costruendo quella che Mantegazza e Salverani chiamano “pedagogia resistenziale”.
In questo senso, non stupisce che il fumetto abbia trovato il coraggio di affrontare il tema della Shoah solo dopo aver ritrovato una nuova visione di se’, proprio nel periodo (1985-19910) che vide la nascita e promozione dell’interesse diffuso verso la Shoah

C’è, quindi, anche nel fumetto un vasto campo di lavoro,  purché si accetti di affrontare il tema con questa visione: non accontentarsi di narrare storie, ma cercare di narrare la Storia; non cedere al patetismo, ma mirare allo stimolo razionale.

Ringrazio Simone, Davide ed Alberto del sito Lo Spazio Bianco Antonio Recupero ( collaboratore di Fumettomania), che con i loro scritti hanno arricchito il mio intervento. Ed infine Enrico, Vincenzo e Francesco per le immagini estratte della mostra “I bambini della shoah”.

Mario Benenati ed AA.VV.

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… CONTINUA

CON IL POST DEDICATO ai due interventi di Antonio Nunzio Isgrò e di Fabrizio Scibilia, rispettivamente su Cinema e Shoa  e sull‘umorismo ebreo, l’Hiddish nel cinema

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